mercoledì 11 gennaio 2012

martedì, 29 giugno 2010

As you like it

q4
Siccome ho il presentimento che indagando la relazione tra Milena Jesenská e Franz Kafka siamo andati un po’ sul tragico, recupero un brano brevissimo tra Rosalinda e il Buffone, così che il bardo William ci aiuti a mettere tutto in commedia…
A noi amanti sinceri capitano sempre le cose più strane, ma poiché tutto è mortale in natura, ogni natura innamorata è di una follia mortale
Parli in modo più saggio di quanto tu non ti accorga
Non mi accorgo di essere saggio finchè non mi accorgo di sbatterci il muso
Per Giove la passione di quel pastore assomiglia tanto alla mia passione
E alla mia, ma io comincio a fare un po’ di muffa

Milena Jesenská & Franz Kafka

Copia di nikon07 379
Tra le cose messe da parte ho trovato un articolo del Corriere della Sera del 31 Luglio 2003, a memoria, mi pare, di averlo letto al bar, e di averlo poi sapientemente occultato. E’ scritto da Giovanni Raboni ed è incentrato sulla visione di Kafka che ne aveva Milena, unica non ebrea tra le sue donne, giornalista e traduttrice delle sue opere in ceco, e morta vent’anni dopo di lui nel campo di concentramento di Ravensbruck, perché oppositrice politica del nazismo.
Tra il loro primo conoscersi e la morte di Kafka trascorrono circa cinque anni. Pochissimi i loro incontri, per il resto solo parole. Lettere, di cui ci sono rimaste solo quelle dello scrittore e non quelle della giornalista, che però scrisse di Kafka a Max Brod, suo biografo fondamentale.
In molti amiamo le tenere, enigmatiche, terrificanti parole di Kafka, ma abbiamo bisogno di Milena, per spiegarci come lui fosse davvero.
“Ho paura e paura, cerco un mobile sotto il quale posso nascondermi, prego tremando e fuori di me, perché tu, che sei entrata rombante in questa lettera, possa volare di nuovo dalla finestra, non posso tenere in casa mia un uragano”.
“La vita per lui è qualcosa di ben diverso che per tutti gli altri uomini… Il denaro, la borsa, l’ufficio dei cambi, una macchina per scrivere sono per lui enigmi stranissimi di fronte ai quali non ha assolutamente l’atteggiamento che abbiamo noi… Sì, tutto questo mondo è e rimane enigmatico per lui… Un uomo che scrive velocemente a macchina e un uomo che ha quattro amanti gli riescono altrettanto incomprensibili… Incomprensibili perché sono vivi… E’ assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. E’ senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. E’ come un individuo nudo fra individui vestiti”.
“Ciò che si attribuisce alla anormalità di Frank è precisamente il suo pregio… Credo piuttosto che tutti noi, tutto il mondo e tutti gli uomini siamo malati e lui solo è sano, lui solo sente e afferra giustamente”.
“Se fossi riuscita ad andare con lui, avrebbe potuto vivere felice con me. Ma questo lo so soltanto oggi. Allora ero una donna comune come tutte le donne del mondo, una piccola femmina istintiva. Di qui è nata la sua angoscia. Ed era giusta… Quella sua angoscia era giusta”.
Eppure l’aveva capito, già nel 1920: “Frank non ha la capacità di vivere… Frank non guarirà mai. Frank morirà presto”.

Critica

Klimt__Wasserschlangen_II
E’ vero che è comodo, il silenzio del testo… […] tutte quelle parole imbavagliate nella delicata cucina della nostra intelligenza… Come ci si sente qualcuno nel silenzioso sferruzzare dei nostri commenti!... E poi, giudicando il libro tra sé e sé non si corre il rischio di essere giudicati da lui… perché il fatto è che appena ci si mette di mezzo la voce il libro la dice lunga sul lettore… Il libro dice tutto…  
L’uomo che legge ad alta voce ci eleva all’altezza del libro. veramente da leggere.
Viceversa, noi che abbiamo letto e affermiamo di voler diffondere l’amore per il libro, preferiamo troppo spesso il ruolo di commentatori, interpreti, analisti, critici, biografi, esegeti di opere rese mute dalla devota testimonianza che diamo della loro grandezza. Imprigionata nella fortezza delle nostre competenze, la parola dei libri lascia il posto alla nostra parola. Invece di permettere all’intelligenza del testo di parlare per bocca nostra, ci affidiamo alla nostra personale intelligenza, e parliamo del testo. Non siamo gli emissari del libro ma i custodi giurati di un tempio di cui vantiamo le meraviglie con parole che ne chiudono le porte: “Bisogna leggere! Bisogna leggere!”
D. Pennac, op. cit, pp 137 e 76-77.
written by: Malfido time 15:10 | link | commenti
sections: 08-professioni, 14- letteratura arte opinioni

Leggere a voce alta

spank3
Le domando:
“Ti leggevano delle storie a voce alta quando eri piccola?”
Lei mi risponde:
“Mai. Mio padre era spesso via per lavoro e mia madre era troppo occupata”.
Le domando:
“Allora da dove ti viene questa passione per la lettura ad alta voce?”
Mi risponde:
“Dalla scuola”.
Felice di sentire che qualcuno riconosce un merito alla scuola, esclamo, tutto contento:
“Ah! Lo vedi!”
Mi dice:
“Non mi sono spiegata. La scuola ci proibiva la lettura ad alta voce. Lettura silenziosa, questo era già il credo dell’epoca. Direttamente dall’occhio al cervello. Trascrizione immediata. rapidità, efficacia. Con un test di comprensione ogni dieci righe. La religione dell’analisi e del commento, da subito! La maggior parte dei bambini aveva una strizza enorme, ed era solo l’inizio! Tutte le mie risposte erano giuste, se vuoi saperlo, ma tornata a casa rileggevo tutto ad alta voce”.
“Perché?”
“Per la meraviglia. Le parole pronunciate si mettevano a esistere al di fuori di me, vivevano veramente. E poi mi sembrava che fosse un atto d’amore, che fosse l’amore stesso. Ho sempre avuto l’impressione che l’amore per i libri passi attraverso l’amore tout court. Mettevo a dormire le bambole nel mio letto, al mio posto, e leggevo a loro qualcosa. Spesso mi addormentavo ai loro piedi, sul tappeto”.

D. Pennac, op. cit., pp. 74-5.
lunedì, 28 giugno 2010

Dettagli

A proposito di scuola ed incantevoli dettagli. Stamattina la mia collega preferita indossava una gonna a quadri che mi ha fatto pensare a un carboncino di Egon Schiele che sta a Minneapolis ed ho visto sui libri.
 stehendes_maedchen_in_kariertem Tuch
Egon Schiele, Ragazza in piedi con drappo a quadri, 1908/1909
E’ eseguito nello stile ornamentale bidimensionale di Gustav Klimt, quando Schiele ha 18-19 anni ed ha da poco conosciuto personalmente il maestro.
Dal canto suo il venerato Klimt ne realizza un’ulteriore variazione, unendo il suo gusto per i motivi circolari e colorati della tradizione dei vetri di Murano (tra l’altro non so come, ma giustamente questo quadro è alla Galleria dell’Accademia a Venezia).
 judith
Gustav Kilmt, Judith II (Salomè), 1909
Lo stile espressivo delle mani della ragazza col drappo a quadri è tipico di Schiele, ma lo stesso è sperimentato anche da Klimt.
 mani kiss
Gustav Klimt, Particolare de Il Bacio, 1907-1908
mani adele
Gustav Klimt, Particolare del Ritratto ad Adele Bloch Bauer, 1912  
written by: Malfido time 22:23 | link | commenti
sections: 08-professioni, 14- letteratura arte opinioni

DIARIO DI SCUOLA

schiele schreibtisch
Dove trovare te stesso? Sempre nell’incantesimo più profondo che tu abbia subìto.
Strano tipo d'incantesimo, quello di stare a scuola, con la testa, le mani, le braccia dentro la realtà, col desiderio naturale di condividere la “materia” che ti manda in visibilio, e che non concepisci nemmeno che possa ispirare repulsione o anche soltanto indifferenza.
Io mi meraviglio sempre quando i miei alunni, nonostante tutto, sanno qualcosa: ecco un altro tipo di incanto.
Spesso si usa una sorta di maieutica: non sai di sapere. Serve per portarli a quello che Pennac chiama il livello "orlo", cioè il 6, visto che proprio si deve valutare.
Vada come vada io trovo giusto anche non fare riferimento all’avvenire catastrofico che, secondo altri insegnanti, aspetta gli alunni. "Chi vuole non sapere vuole sognare" (è un verso di Pasolini, quello sopra in grassetto invece è Hoffmanstahl).
Uno degli incantesimi che a scuola di solito riesce è poi la lettura a voce alta.
L’uomo che legge a viva voce si espone completamente. […] Se riempie il testo della sua presenza, l’autore si ritrae, è un numero da circo e si vede. L’uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.
Se legge veramente, se ci mette il suo sapere dominando il piacere, se la lettura è un atto di simpatia per l’uditorio come per il testo e il suo autore, se egli riesce a far sentire la necessità di scrivere risvegliando i nostri più oscuri bisogni di capire, allora i libri si spalancano, dietro a lui, si riversa la folla di coloro che si credevano esclusi dalla lettura
”.
Daniel Pennac, Come un romanzo, pp. 137-8

lunedì, 05 luglio 2010

Superficialità

narciso_caravaggio1
Per formazione, e forse anche per natura, ho la vocazione ad andare in profondità, secondo il ben noto principio del conosci te stesso e dell’accettazione della complessità.
Per questo la fantastica frase “Conosci te stesso? Sì, di vista…” è una sorta di viatico! [ di Rokko Smitherson o del Maestro Brunello Robertetti,  non ricordo, mi rincresce… che verbo metaforico ]
Nonostante questo riconosco, a volte, il valore della superficialità, per quanto mi arresti davvero raramente (arrestarsi è un’azione perversa, ma quanta psicanalisi c’è nell’italiano corrente?!?) alla superficie delle cose. Bisogna viversi in modo plurale, dialetticamente (ma non troppo, s’intende, non tutto è relativo, non cediamo agli assoluti).
Ci chiediamo dunque alle 8 di mattina del primo lunedì di luglio: a che cosa serve essere superficiali?
Ci rispondono Nietzsche e Hofmannstahl, per bontà loro, con la consueta genialità, alla quale ci inchiniamo e dalla quale infinitamente attingiamo.
Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali- per profondità.
La gaia scienza
La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie.
Il libro degli amici

venerdì, 02 luglio 2010

Solidarietà e attivismo

picasso6
La discussione sul rapporto tra solidarietà e attivismo parte dall’elaborare l’esperienza dell'umana compassione, leopardianamente "unica virtù non usuraia".
Anche noi per incontrare il sofferente dobbiamo incontrare la nostra sofferenza, la sofferenza che è in noi, il sofferente che noi siamo, e averne compassione.
La compassione è la radice della solidarietà perché essa dice: “Tu non sei solo perché la tua sofferenza è, in parte, la mia”.
La solidarietà deve ricordarsi di tutto questo se vuole avere una radice nel cuore dell’uomo, nel suo intimo, ed evitare di ridursi ad attivismo per cui si fanno tante cose per gli altri, ma si fallisce l’incontro con la persona che il bisognoso è, e non si cambia nulla in se stessi.
Il samaritano della parabola evangelica, a differenza del sacerdote e del levita, fa divenire ascolto la visione del ferito.
La compassione non è solamente un sentimento che si impone al cuore dell’uomo, ma diviene scelta, responsabilità. E’ il no radicale all’indifferenza di fronte al male del prossimo. La compassione, facendo della sofferenza una sofferenza per l’altro, spezza l’isolamento in cui l’eccesso di sofferenza rischia di rinchiudere l’uomo.
La compassione è una forma fondamentale dell’incontro con l’altro, un linguaggio umanissimo, perché linguaggio di tutto il corpo, che coinvolge i sensi, la gestualità, la parola, la presenza personale.
Certo, la compassione nasce in chi accetta di lasciarsi ferire e colpire dalla sofferenza dell’altro, sicchè solo chi riconosce la propria vulnerabilità sa aprirsi alla sofferenza altrui.
Solo un io vulnerabile può amare il prossimo.
Cfr. Luciano Manicardi, L’umano soffrire
giovedì, 01 luglio 2010

Elogio della crisi

picasso3
Una collega mi ha prestato un libro di Luciano Manicardi dal titolo "L'umano soffrire", dicendomi che io l'avrei capito. Ho messo da parte diversi appunti su aspetti atropologici legati a questo tema, tra cui diversi passaggi che mettono bene in luce il valore e il senso di ogni forma di crisi che l'umano attraversa. Provo a condividere questi contenuti, perchè è un discorso molto aperto.
L’iniziazione accompagna ogni esistenza umana autentica. Per due ragioni: da una parte, perché ogni vita umana autentica implica crisi in profondità, prove, angosce, perdita e riconquista dell’io, “morte e resurrezione”; dall’altra parte perché ogni esistenza, per quanto piena, a un certo momento si rivela un’esistenza fallita… In questi momenti di crisi totale, una sola speranza sembra foriera di salvezza: quella di poter ricominciare la propria vita. Si sogna una nuova esistenza, rigenerata, piena e ricca di significato.
La crisi fa spazio a una visione reale, avviene per evitarci il peggio. Come descrivere cos’è il peggio? Il peggio è aver attraversato la vita senza naufragi, è essere rimasti alla superficie delle cose, aver galleggiato nelle paludi dei “si dice”, delle apparenze, è non essere mai andato a fondo in una dimensione altra e profonda di sé e delle relazioni.
In una società tutta intenta a distogliere la nostra attenzione da ciò che è importante, che non indica cammini per entrare nella profondità, in cui tutto è sbarrato, non vi è che la crisi per far crollare questi muri che ci accerchiano. La crisi appare come un ariete capace di sfondare le porte di queste fortezze in cui noi restiamo rinchiusi, con tutto l’arsenale delle nostre credenze e convinzioni.
La crisi ci spoglia, ci fa andare a fondo, abbatte le immagini manufatte e idealizzate di noi, del mondo e di Dio.
Non sprecate la crisi! Ben gestite, le crisi sono dei doni del cielo. La crisi è disordine, movimento, fluidità, rottura, e proprio per questo essa può sciogliere ciò che era legato, liberare ciò che era imprigionato. Quando insorge una crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiudere le falle che si erano aperte, per riparare ciò che non può essere riparato, per riformare la superficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che vorrebbero salvare. E una volta che la crisi è passata, ecco che le persone, che nel momento dell’anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettano più alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogni privilegio… Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzione alla crisi, non sprecatela. Essa è il vostro tesoro, è la vostra possibilità, è l’avvenire del mondo.
Chi non è mai stato obbligato ad affrontare il calvario di una tale crisi può riuscire, durante la sua vita, a eludere situazioni difficili e critiche, per il terrore di dover affrontare la fatica e la sofferenza dell’elaborazione delle proprie crisi, anche se questo sarà al prezzo di fallire se stesso, di mancare il raggiungimento della propria identità. Del resto, dobbiamo riconoscere che molte persone sono impegnate nel corso dell’intera loro vita a mettere in atto tutte le risorse possibili per passare accanto alla vita, per restare alla sua superficie, per non lasciarsene toccare e ferire più di tanto, per non dover andare a fondo di essa, facendone così una stucchevole estranea. Spesso sono proprio le grandi crisi che ci obbligano a prendere sul serio la vita.
written by: Malfido time 13:42 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
mercoledì, 30 giugno 2010

Rainer Maria Rilke & Lou Andreas Salomé

rodin
Sempre scartabellando gli epistolari dei più grandi scrittori di lingua tedesca della prima metà del ‘900, desta molto interesse, e fa nascere molte più domande che risposte, la già citata liason tra Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomé.
Pochi si confrontano davvero, quando sono innamorati, con l’eventualità che l’innamorato sia prima di tutto la proiezione all’esterno dei propri sentimenti, attraverso una dinamica di rispecchiamenti e contrapposizioni che avvengono specialmente con il proprio io. 
Il poeta alla Madame:
"Ho capito perché dalla nostra vicinanza non è potuto nascere niente di reale: perché lei, o era me con tutte le sue forze e quindi soverchiante, oppure era il mio Contro Io e allora naturalmente un advocatus diaboli, un pallido doppio e costante oppositore, senza fondamento personale. Quanto possa aver sofferto di tutto questo è difficile da scoprire, è comunque stato inutile per ambedue e senza sbocco. Le belle lettere che di quando in quando mi scriveva, erano mie, lettere mie, nel mio stile, oppure non mi scriveva affatto".
Rainer M. Rilke - Lou A. Salomé, Epistolario 1897-1926, Milano, La Tartaruga, 1992, p. 173.
La Signora, in  generale, sul tema dell’amore e della solitudine:
“Solo chi rimane completamente se stesso, si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una presenza di essa.
Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…
Un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza è, dunque, il segno più pertinente e inalienabile di ogni amore in quanto: … non solo nel disprezzo e nell’amore non ricambiato, infatti, ma dappertutto, ovunque dove ci si ama, l’uno sfiora solo l’altro, lasciandolo poi a se stesso. E’ sempre una stella irraggiungibile che noi amiamo e ogni amore è sempre, nella sua profonda essenza, una segreta tragedia. Ma proprio per il fatto di esserlo, riesce ad avere effetti così potentemente produttivi”.
 Lou Andreas Salomé, Riflessioni sull’amore

Signor Keuner

urlo-di-munchQuesto blog è nato per amor di dialettica, il che significa, ad un tempo, combattere dentro di sé ogni tendenza estremista e conservare un margine di riserva, d’ironia, di straniamento.
Siccome in tutto questo Bertolt Brecht è maestro sommo, e siccome al colmo della reciproca stima io ed un amico ci siamo vicendevolmente raccomandati di “non cambiare”, dopo poco ho pensato al Signor Keuner (nome che suona, con una leggerissima inflessione, “Signor Nessuno”), e ho sorriso.
Una persona che, dopo tanto tempo, rivide il Signor Keuner lo salutò dicendo:
"Lei non è per niente cambiato!"
"Oh" rispose il Signor Keuner e impallidì.

martedì, 29 giugno 2010

Indovinello

fiori terza DNon mi ricordo se proviene da un testo o da un articolo di Claudio Magris oppure di Massimo Cacciari. Probabilmente di un terzo uomo che adesso proprio non mi viene… Credo sia un indovinello che in originale è in lingua ebraica.
LA PAURA BUSSA ALLA PORTA, LA FEDE VA AD APRIRE. FUORI NON C’È NESSUNO. MA CHI INSEGNA AD APRIRE?
D’istinto potrei dire che io sono quel genere di persona che va ad aprire.
Ma poi mi vengono in mente tutti quei film nei quali ci si domanda perché diamine il personaggio vada ad aprire, dato che ha il fondato sospetto che fuori c’è qualcuno che vuole fargli del male.
Esistono personaggi che non prendono nemmeno in considerazione di lasciar chiusa la porta e pensare soltanto a scappare. Sono quelli nei quali ci identifichiamo di più.
Parentesi quadra: succede qualcosa di strano anche quando l’assassino è in casa e suona il telefono. Meno male, non è l’assassino che ti giura che tra un paio di minuti sarai morto. E’ qualche rompiscatole. Allora lo liquidi con due frasi di circostanza e riattacchi la cornetta. Non ti è passato per la mente di dirgli di chiamare la polizia…
domenica, 11 luglio 2010

Paradiso per egoisti: il caso di Leonida Spittelberger e Vera Worms

baum
In esilio a Buenos Aires nel 1941 il viennese Franz Wefel (famoso anche per essere divenuto il secondo marito della vibrante Alma Mahler) pubblica “Eine blassblaue Frauenschrift”, “Una scrittura femminile azzurro pallido”. Come la prosa del dottor Arthur Schnitzler, anche quella di Werfel è talvolta una lama fin troppo affilata, tanto è lucida e puntuale nel descrivere i percorsi della mente: i pensieri premonitori che annunciano le verità non dette, la vigliaccheria delle elucubrazioni di un perbenista di mezza età nato povero ma arricchitosi in fretta, le paranoie profetiche di una donna gelosa.
Leonida Spittelberger è un alto funzionario ministeriale nella Vienna del 1936. Si è fatto strada nella capitale austriaca grazie al frac ereditato da un compagno di studi suicida, alla sua delicatezza nel ballare il valzer e alla sua loquela piena di buone maniere. Ha sposato la giovane splendida, ricchissima Amelie Paradini, dal primo istante piena di amore e devozione per lui.
Il giorno in cui compie cinquant’anni Leonida riceve una lettera, scritta a mano con inchiostro blu chiaro, da parte di Vera Wormser, la ragazza ebrea che, poco dopo il suo matrimonio a Vienna, aveva sedotto e abbandonato a Heidelberg, mentre questa studiava filosofia.
Vera gli chiede solo, formalmente, di prendere a cuore il destino di un giovanotto di sua conoscenza, pieno di talento ma isolato. Leonida si convince che il giovane sia il loro figlio segreto e rivive la loro storia dall’inizio, da quando cioè egli era l’umile precettore del fratello di Vera, e lei una ragazza altera e sicurissima di sé. Pensa alle bugie sulle quali si basa il suo matrimonio, si fa prendere dalla smania di confessare tutto…
Non svelerò come vanno le cose, ma inizio a prendere nota della prima delle due parti che, dal punto di vista della conoscenza e dell’esperienza del femminile, secondo me sono molto interessanti. Di seguito trascritta c'è la descrizione della storia d’amore tra Leonida e Vera dal punto di vista di lui, che imbastisce una finta confessione davanti alla Suprema Corte di Giustizia. La loro vicenda è molto avvicente e per niente scontata dal punto di vista psicologico ed emotivo. Werfel affonda il coltello fino al manico. La seduzione è lenta e pianificata con sadico egoismo  e Vera, nonostante il suo coraggio e la sua indipendenza, si lascia prendere e ferire come un uccellino.
(L’altra parte eccezionale secondo me riguarda la moglie di Leonida: la stessa scrittura azzurro pallido scatena nell’intensa Amelie visioni di infedeltà e di piccolezza umana che le rivelano chi è il suo consorte).
Nessuno al mondo ha mai creduto con la pienezza e il candore di quella ragazza capace di una critica così tagliente.
[…]
Ma la mia colpa non sta nel semplice fatto che ho sedotto quella ragazza. Ho preso una fanciulla che era pronta a essere presa. La mia colpa è stata che in mala fede ho fatto di lei la mia donna, in maniera assoluta, totale, come mai in vita mia mi era successo, neppure con Amelie. Le sei ineffabili settimane che ho trascorso con Vera sono state l’autentico matrimonio della mia esistenza. Nella grande dubitatrice ho instillato una fede in me veramente inaudita con l’unico intento di farla poi miseramente crollare. Questo è il mio delitto.
[…]
Mi comportai allora come un finto cavaliere che prende le donne con insidiosi lacci, come un volgare istrione che largisce illusioni matrimoniali. La cosa cominciò in perfetto stile, con i gesti più triviali che si usano in queste circostanze. […] E dalla prima bugia con rigorosa consequenzialità  nacque la seconda, la terza e poi centinaia e centinaia di altre bugie. Ma il vero pepe della mia colpa è un altro, è quello  che solo adesso sto per rivelarvi. Tutte queste bugie, e il candore, la fede senza riserve della giovane ingannata accrescevano la mia voluttà in maniera inimmaginabile. Con fervido entusiasmo costruivo dinanzi a Vera la nostra futura vita in comune. Con coscienziosità assolutamente impeccabile dimostravo una sollecitudine casalinga che la conquistò. Nulla fu trascurato nei piani che venivo costruendo […]. La mia fantasia faceva faville. Nulla fu lasciato al caso. Elaborai un piano dettagliatissimo, ora per ora, giorno per giorno, della nostra radiosa vita coniugale.
[…]
Feci a Vera un gran numero di regali per aumentare ancora di più la sua fiducia in me. […] Per l’unica volta in tutta la mia vita mi comportai da prodigo. […] Che indescrivibile prurito mi nasceva dentro quando in Vera si scioglieva il ghiaccio dell’intelligenza e veniva allo scoperto la donna, la fanciulla in estasi che in tutta la sua esotica leggiadria si arrendeva all’uomo con quella incondizionata dedizione che al sesso maschile spetta di diritto.
[…]
Come sento ancora la melodia del suo passo che procede all’unisono col mio! Non ricordo di aver vissuto niente di più bello di quella mano nella mano, di quei passi che procedevano all’unisono. Ho vissuto pienamente questa sensazione, ma nello stesso tempo godevo, sia pure con profondo raccapriccio, per la morte violenta che stavo per infliggere alla nostra unione. Per Vera fu una giornata lieta perché dopo un breve periodo di separazione io sarei venuto a prenderla per portarla via con me per sempre. Non vedo il suo viso sotto il finestrino del treno. Ma certo era un viso sorridente, data la tranquilla, piena fiducia che lei aveva in me. “Addio, vita mia” le dissi. “Fra due settimane vengo a prenderti”. Ma quando poi, dopo tante settimane di tensione, mi sedetti con un tonfo nello scompartimento in cui ero da solo, crollai, crollai di colpo in un sonno profondo ch’era quasi un’anestesia.
pp. 49-52
written by: Malfido time 22:34 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Krumau come qui

landscape_at_krumau
Beobachtung
Dort oben auf dem weit
waldumrandeten Rauschenland
geht langsam der lange weiße Mann blaurauchend
und riecht und riecht die weißen Waldwinde.
Er geht durch die kellerriechende Erde
und lacht und weint.
Osservazione
Lassù nel vasto
paese frusciante da boschi cinto
l’uomo alto e bianco fumando di blu va lento
e aspira aspira i bianchi venti di bosco.
Sulla terra che odora scantinato passa
e ride e piange.
Paesaggio e versi di Egon Schiele (fate lo sforzo di leggerlo in originale perchè la tramatura sonora è notevolmente espressionista)
written by: Malfido time 22:31 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Eduard Kosmack sulla Landstraße

ritratto di eduard kosmackLandstraße
Die hohen Bäume
gingen alle die Straße entlang.
In ihnen zirpten zittrige Vögel.
Mit großen Schritten und roten Böseaugen
durchlief ich die nassen Straßen.
Strada di campagna
Gli alti alberi
filavano lungo la strada.
Dentro pigolavano trepidi uccelli.
A grandi passi con rossi occhi cattivi
percorrevo le strade bagnate.
Quadro e poesia di Egon Schiele in personalissimo accostamento
written by: Malfido time 22:28 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni
giovedì, 08 luglio 2010

Visioni di Egon Schiele

young_boy_1918_pencil_hi
Tutto mi era diletto -
Volevo guardare amabilmente la gente adirata,
per obbligare gli occhi a farsi incontro;
agli invidiosi volevo offrire doni e dire
ch'io non ho valore.
[...]
Vidi il parco: gialloverde, bluverde, rossoverde,
violaverde, assolatoverde e trepidanteverde -
e stetti in ascolto dei fiori d'arancio in fiore.
Poi mi allacciai nel parco al muro ovale
ad ascoltare i bambini dagli esili piedi,
loro, a puntini blu e a righe grige
con i fiocchi rosa.
Le colonne d'alberi tracciavano linee per l'appunto,
quand'essi si sedettero
sensualmente in ovale.
Pensai al ritratto a colori delle mie visioni,
e mi parve come se avessi parlato
con tutte quelle soltanto. 
written by: Malfido time 17:03 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Schiele e Novalis

camiv
Tra il mio poeta preferito del romanticismo e il mio pittore preferito dell'espressionismo passa questo esperimento poetico di Schiele.
Novalis, nel primo dei suoi Inni alla Notte, prende le distanze dalla luce del giorno e si rivolge alla notte come se essa sola avesse davvero un cuore umano, capace di far intuire la profondità del cielo, perchè è la notte che ci avvicina al mistero, che ci dona consolazione e puro ardore di spirito.
Schiele gli ruba il primo verso, ma poi sostiene che la vera guida per il cosmo è lo spirito dell'artista, che riceve e produce particolari visioni sulla pura realtà della natura, al di fuori e dentro l'uomo.   
Chi tra i viventi col dono di sentire
non vuol badare
a prodigi,
e scrutare
nel proprio spirito
guide
per il cosmo?
L'eterno venire,
essere,
e passare,
sogni
del futuro
e tolleranza
del presente.
Desideri
divengon soffio
in questo tutto.
Per quale
tra i dotati
dello spirito
la natura è come
un problema
delle sacre arti?
La crederebbero
forse prodotto
di mano dell'uomo?
Artista innanzitutto
è il grande dotato dello spirito,
che esprime
visioni
di concepibili manifestazioni
in natura.
written by: Malfido time 16:53 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Dell'essere inumano e modeste esigenze della scuola

brecht
Da oggi, quando mi capita, vado a ripescare nei Dialoghi di profughi, scritti da Brecht durante il soggiorno in Finlandia (aprile 1940-maggio 1941). In questo anno oscuro, in cui i nazisti occupavano un paese dopo l’altro, Brecht lavorava intensamente.
Protagonisti di questi dialoghi sono Kalle e Ziffel, autocritici e dediti alla dialettica e all’umorismo. Mai d’accordo in principio, finiscono poi per essere sostanzialmente concordi nel giudicare i fatti e le prospettive: la sola differenza è che il primo considera l’impegno politico come qualcosa di ovvio, mentre il secondo lo accetta “non senza titubanza”, titubanza da intellettuale.
Ziffel e Kalle si palleggiano l’immagine di Brecht  e questo è lo straniamento tipico di Brecht nei confronti di Brecht. Ziffel, il fisico, è figlio di gente benestante, come Brecht. Le sue esperienze scolastiche sono quelle dell’autore, che è anche “il compagno di scuola B.” di cui, tra qualche riga, si riporta un tiro: quello di aggiungere correzioni false al compito per poi protestare con l’insegnante, di cui sappiamo che Brecht andava particolarmente fiero. Kalle, l’operaio basso e tarchiato, assomiglia fisicamente a Brecht e cita poesie brechtiane, ma, per il vero, Brecht provava una costante antipatia per i letterati e ammirava i tecnici e gli scienziati.
Dal terzo dialogo si citano di seguito le parti DELL’ESSERE INUMANO e MODESTE ESIGENZE DELLA SCUOLA, perché mi fanno riflettere, dialetticamente, sul mio lavoro.
Z […] i maestri hanno il compito, che richiede la massima abnegazione, di personificare alcuni tipi base dell’umanità con il quale il giovane avrà a che fare più tardi nella vita. Gli si dà l’occasione di studiare per quattro, sei ore al giorno, brutalità, cattiveria e ingiustizia. […] L’Essere Inumano appare dinanzi al giovane, nella scuola, in forme gigantesche e indimenticabili. Esso detiene un potere quasi senza limiti. Fornito di cognizioni pedagogiche e di una esperienza pluriennale, esso educa lo scolaro a sua immagine e somiglianza.
Lo scolaro impara tutto ciò che è necessario per andare avanti nella vita. […] Si tratta di appropriazione indebita, di simulare di sapere quel che non si sa, di capacità di vendicarsi impunemente, di rapida assimilazione di luoghi comuni, adulazione, servilismo, prontezza a tradire i propri simili con i superiori ecc.
Ma la cosa principale è la conoscenza degli uomini. La si conquista sotto forma di conoscenza dei maestri. Lo scolaro deve saper riconoscere e sfruttare le debolezze del maestro, altrimenti non potrà mai impedire che lo si imbottisca di quel guazzabuglio assolutamente privo di valore che si chiama patrimonio cerebrale.
[…] [es.1] da lui non imparammo la chimica, ma come ci si vendica.
[…]l’insegnante di lingua francese aveva un’altra debolezza. Rendeva omaggio a una malvagia dea che esige terribili sacrifici: la Giustizia. Il mio compagno B. ne traeva vantaggio nel modo più intelligente. […] Sul suo compito già corretto egli sottolineava con inchiostro rosso qualche punto del tutto esatto  e andava alla cattedra con aria offesa a chiedere che cosa mai ci fosse di sbagliato. Il maestro doveva riconoscere che non c’era niente di sbagliato, cancellare i segnacci rossi, rettificare il numero degli errori e, naturalmente, anche il voto. Si ammetterà che questo scolaro a scuola ha imparato a pensare.
giovedì, 15 luglio 2010

Schatten

schattenIn continuità rispetto a un tema che negli ultimi mesi mi ha impegnato molto, ho preso in prestito in biblioteca  Studi sull’ombra, degli junghiani Mario Trevi ed Augusto Romano. Dentro ci sono lunghi paragrafi dedicati alle illustrazioni letterarie di questa metafora psicologica, con una scelta che privilegia il romantico di seconda generazione E.T.A. Hoffmann, Conrad, Melville, Brecht e anche Beckett (più una serie di altri suggerimenti).
Oggi mi sono dedicata alle parti che espongono la teoria legata all’elaborazione junghiana, che è più di metà libro. Chiaramente i miei appunti, per essere utili, debbono essere complessi, perciò, per ora, mi limito ad inquadrare in generale la questione.
 L’ombra è una delle strutture categoriali della dinamica di continuo rischio e di continuo riscatto che la coscienza stabilisce con la sua oscura radice inconscia.
La via dell’individuazione passa necessariamente attraverso il problema dell’Ombra; anzi l’Ombra è in realtà la vera porta di accesso a ogni processo di sviluppo psicologico.
La totalità della psiche sarà raggiunta solo quando si sarà riconosciuto il negativo e lo si sarà sollevato alla dignità di un elemento individuante e creativo.
La ricognizione dell’Ombra non è una tappa temporalmente definita di un processo ma una condizione dinamica continuamente da istaurare e recuperare.
Il problema di questa stessa dinamica rimane aperto tutta la vita, come il problema dell’Ombra è di tutta la vita.
“La questione che ci si pone non è più: “Come posso liberarmi della mia ombra?” Piuttosto ci si deve chiedere: “Come può l’uomo vivere con la sua Ombra, senza che ne derivi una serie di sventure?””
Mediante l’analisi dei sogni è possibile prendere coscienza, “oggettivare” con stupore e disagio i contenuti dell’Ombra. E’ questa la premessa indispensabile per l’assunzione a livello conscio della responsabilità del negativo. Quando, di fronte all’emersione “di ciò che si oppone”, non segua una nuova rimozione, l’Io comincia a fare esperienza di cosa significa “sopportare” con umiltà la propria Ombra e la strada è aperta all’integrazione. Questa consiste nell’accettazione cosciente della bipolarità etica e quindi nella fondazione di una morale personale.
L’energia recuperata attraverso l’Ombra permette un ampliamento della personalità, così come la re immissione dell’Ombra nel circuito vitale conscio ne consente una trasformazione in senso individualizzante. Il male acquista senso e può essere redento, anche se solo provvisoriamente.
“Non si può essere assolti da peccati che non si sono commessi” dice Jung, intendendo con ciò che solo indossando la nostra oscurità noi possiamo ottenere di redimerla e trasformarla.
Ma è soltanto attraversando l’accettazione della contraddizione, l’esposizione al rischio di sbagliare, l’abbandono della convinzione di sapere cosa occorre fare in ogni occasione che le tenebre possono convertirsi in luce.
written by: Malfido time 21:02 | link | commenti
sections: 08-professioni, 14- letteratura arte opinioni
mercoledì, 14 luglio 2010

Alfabetismo emotivo: strategie

kidschieleNon siamo pochi, a scuola, o forse sì, ad aver capito l'importanza dell'alfabetizzazione delle emozioni: riconoscerle, dar loro un nome, comprenderne l'intensità, individuarne le cause, osservarne e controllarne le conseguenze.
Bisogna che un lavoro del genere ti esca dalla porta e torni dentro dalla finestra, allora ecco che cosa ci si inventa: un colloquio d'esame col prescritto dossier di documenti, in parte noti e in parte no, dove si parte da Hikmet per interrogare un alunno, che ha scelto lo scientifico e vuol fare l'architetto, sullo sviluppo sostenibile. La scuola è il luogo delle speranze ben riposte.
Non vivere su questa terra come un inquilino
Oppure in villeggiatura nella natura
Vivi in questo mondo
Come se fosse la casa di tuo padre
Credi al grano al mare alla terra
Ma soprattutto all'uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
Ma innanzitutto ama l'uomo
Senti la tristezza
Del ramo che si secca
Del pianeta che si spegne
Dell'animale infermo
Ma innanzitutto la tristezza dell'uomo
Che tutti i beni terrestri ti diano gioia
Che l'ombra e il chiaro ti diano gioia
Che le quattro stagioni ti diano gioia
Ma che soprattutto l'uomo ti dia gioia
written by: Malfido time 18:19 | link | commenti
sections:
martedì, 13 luglio 2010

Anatomia di un corto circuito emozionale

urlo-di-munch
Orrendamente, su certi quotidiani da bar, ci sono ogni giorno due o più pagine con scritto in cima « I delitti dell’estate«. Come ciascuno sa, sono l’impressionante serie di uccisioni di giovani donne da parte dei loro ex partner, dei quali sempre si dice che erano innamoratissimi e fedeli  (alcuni in effetti le tradivano sempre con la stessa persona, ad esempio la moglie) .
Queste tragedie sono enormi, non si riesce ad immaginare perchè si debba morire a 16 o 20 anni per aver incontrato un maschio (non uso la parola uomo), che preferisce ammazzarti che lasciarti vivere la tua vita senza di lui, e vivere la sua senza di te.
Venditori di aria fritta, come l’illustre professore di « Innamoramento & Amore«, rettore, ai tempi, dell’Istituto Universitario dove l’indimenticabile Giorgio Cusatelli sintetizzava che « insegnano a vendere frigoriferi«, non trovano di meglio da scrivere che: « Donne non andate all’ultimo appuntamento! »
Il poco che so sul funzionamento del cervello lo devo al testo sull’intelligenza emotiva di Daniel Goleman, il quale illustra bene, a livello divulgativo, come esistano due circuiti cerebrali : quello in cui si è in balia del sistema limbico e quello che coinvolge la neocorteccia – il cervello pensante.  
Il sistema limbico è il centro emozionale, dal quale successivamente, in termini evolutivi, si sono sviluppate le aree del cervello pensante, la neocorteccia. Il fatto che il cervello pensante si sia evoluto da quello emozionale ci dice molto sui rapporti tra pensiero e sentimento : molto prima di un cervello razionale esiste un cervello emozionale.
[Il cervello emozionale a sua volta si è evoluto dal lobo olfattivo, perchè l’olfatto si dimostrò un senso di importanza enorme ai fini della sopravvivenza. Ciò che veniva odorato si poteva classificare nelle principali categorie : sessualmente disponibile, nemico o pasto potenziale, commestibile o tossico. Un secondo strato di cellule cerebrali elaborava la reazione: avvicinarsi, fuggire, inseguire, mordere, sputare].
Il cervello emozionale è la parte che circonda e delimita il tronco cerebrale (quella parte che assicura la sopravvivenza, regolando le funzioni fondamentali come il respiro e il metabolismo degli altri organi), perciò venne definito « sistema limbico« - dal latino limbus, anello. Il desiderio, l’ira, la paura, la felicità, la tristezza, sono il repertorio del sistema limbico.
La neocorteccia serve ad integrare e comprendere ciò che viene percepito dai sensi, e dunque anche le emozioni, nella loro minore o maggiore intensità. Grazie alla corteccia facciamo progetti a lungo termine, escogitiamo strategie, abbiamo legami affettivi a lungo termine e  una vita emozionale caratterizzata da finezze e complessità,  proviamo sentimenti a proposito delle idee, dell’arte, dei simboli e dell’immaginazione. In  altre parole siamo in grado di reagire alle nostre emozioni con un’ampia gamma di risposte.
Talvolta questi centri superiori sono sottomessi al sistema limbico : come fonte dalla quale si sono sviluppate le parti più recenti del cervello, i centri emozionali hanno l’immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello, compresi i centri del pensiero.
Alcuni testi definiscono questo sistema di reazioni emotive rapide « corto circuito« oppure « sequesto« emozionale.  Le risposte emotive rapide, basate sul sentimento, prima che sul pensiero, sono un processo veloce ma poco preciso (poco preciso proprio perché veloce), che nell’uomo (e nella donna) è confinato alle crisi emotive (spavento, passione, paura). La velocità di queste reazioni istintive (che è pressoché dimezzata rispetto a quando il processo coinvolge la corteccia, area sede dell’elaborazione del pensiero) è probabilmente ciò che ci ha salvato la vita nei tempi più lontani della nostra evoluzione. Sviluppare reazioni tempestive in caso di spavento e paura è stato indispensabile, nelle fasi del passato preistorico in cui i pericoli erano enormi e frequenti per l’uomo.
Nel caso del caos emozionale il margine d’imprecisione legato alla rapidità di queste risposte può farci saltare troppo in fretta alle conclusioni. Sembra che, in quei momenti, un centro del sistema limbico dichiari lo stato di emergenza, imponendo il proprio impellente ordine del giorno. Il colpo di mano avviene in un attimo, innescando la reazione alcuni momenti prima che il cervello pensante abbia avuto la possibilità di comprendere a pieno ciò che sta accadendo, e quindi sicuramente prima che abbia potuto valutare se si tratti o meno di una buona idea. Il carattere distintivo di questa esperienza  è che, una volta passato il momento, le persone che ne sono state protagoniste hanno la sensazione di non sapere che cosa sia capitato loro.
Questi sequestri emozionali non sono incidenti isolati che portano automaticamente a crimini. In forma meno catastrofica essi ci capitano anche con una discreta frequenza, ad esempio quando si perde il controllo e si mettono le mani addosso a qualcuno, rendendosi conto poi, a posteriori, che la reazione era ingiustificata.
E’ a questo punto che, in una nota, Daniel Goleman cita un altro studioso, e apre una digressione sulla collera. Essa è l’emozione più pericolosa, perché alcuni dei principali problemi che stanno distruggendo la società odierna sono dovuti ad una completa perdita di controllo su questa emozione.
Mobilitandoci al combattimento, la collera è l’emozione con minor valore adattativo.
Le nostre emozioni si evolsero quando non possedevamo ancora una tecnologia che ci permettesse di agire in modo tanto efficiente spinti dal loro impulso. Nella preistoria, se un uomo era colpito da una collera improvvisa e per un istante voleva uccidere qualcuno non poteva farlo tanto facilmente – ma oggi sì.
Perciò alla base della società c’è l’essere emotivamente intelligenti, cioè il condividere la responsabilità di crescere (e far crescere) in grado di governare e canalizzare in modo adeguato le emozioni.     
written by: Malfido time 19:02 | link | commenti (4)
sections: 14- letteratura arte opinioni

got a crush!

wally_hi
A proposito di Finlandia e di rossi occhi cattivi, abbiamo incontrato sul confine tra la Russia e la Finlandia una ragazza bella e altera di cui vale la pena di parlare.
Spesso consulto il Lunario dei giorni d’amore dell’Einaudi.
Ho acquistato questa interessante antologia di 365 testi di varia tipologia sulla declinazione del sentimento e dell’esperienza d’amore all’annuale mercatino di Villa Braila (mai più senza!) dove ho messo a segno uno dei miei colpi migliori: 30 libri seminuovi a 30 euro, e mica bruscolini: Thomas Mann, Kafka, Puskin, London, Buzzati, Calvino, La Vita Nova, Le Operette Morali ed altre pregevolissime cose.
Fa parte di questo mucchio di tesori low cost, come dicevo, anche la raccolta Einaudi [ che, ahimè, era il regalo di una signora ad una sua amica, come testimoniano la dedica e la data che si leggono non appena si apre il libro. Non solo il volume è praticamente nuovo, è pure confluito nella raccolta di libri da vendere che organizza la biblioteca del quartiere. Se avessi più elementi mi metterei a cercare chi ha regalato il libro, per dirle quanto la sua amica lo abbia letto ed apprezzato.]
Pescare 365 testi sull’amore nell’intero catalogo Einaudi, per farne un tomo di più di 500 pagine, dev’esser stato davvero divertente. Le chicche sono molte, e ampia è la scelta dei motivi che si intrecciano con l’universale tema dell’amore: l’innamoramento, la natura, il ricordo, il matrimonio, il tradimento, il sesso, la verginità, l’attrazione, la vedovanza, la lontananza, l’incontro, il lasciarsi, le bugie, la confidenza, il corpo, la vendetta, la bellezza, e così via.
Oggi il libro propone uno scrittore simbolista russo a me sconosciuto: ALEKSANDR BLOK, che finisce ironicamente soggiogato da una donna cogli occhi rossi di sole e di sabbia. Sarà magari una parente di Eduard Kosmack, l’editore viennese dipinto da Schiele con gli occhi spalancati – probabilmente è davvero così che  l’uomo guardava, dato che, si diceva, riusciva a leggere nel pensiero.
L’incontro tra il poeta e la bella sdegnosa avviene alla dogana tra Russia e Finlandia, al margine di un terrapieno, vicino ai binari del treno.
Sulle dune
A me non piace il vano dizionario
della frasi e vocaboli d’amore:
“Sei mio” “Sono tua” “Io t’amo!” “Tuo per sempre”.
A me non piace essere schiavo. Io guardo
la donna bella in fondo alle pupille
e le dico: “Stanotte. Sai, domani
è un altro giorno, nuovo e bello. Vieni.
Portami una follia nuova, trionfale.
All’alba me n’andrò via per cantare.”
L’anima mia è semplice. Nutrita
fu dal vento salmastro e dall’aroma
resinoso dei pini. Ella è segnata
dalle impronte medesime che rigano
la pelle segaligna del mio viso,
che è bello della squallida bellezza
delle fredde marine e delle dune.
Così pensavo lungo la frontiera
da Finlandia, la lingua decifrando
strana nei verdi occhi dei Finni scialbi.
C’era gran pace. Accanto alla banchina
un treno pronto accese fuoco e fumo.
Pigra la russa guardia doganale
riposava su un cumulo di sabbia
erto, dove finiva un terrapieno.
Là cominciava un’altra terra, e muta
una chiesa ortodossa contemplava
lo sconosciuto estraneo paese.
Così pensavo. Ed ella sopraggiunse,
si fermò sulla china: erano gli occhi
rossi di sabbia e sole. Ed i capelli,
unti come la resina dei pini,
cadevan sulle spalle in flutti azzurri.
S’accostò. Si incrociò il suo ferino
sguardo col mio sguardo ferino. Rise
ad alta voce. E gettò contro a me
un ciuffo d’erba e un pugno d’aurea sabbia.
Poi con un balzo risalì. Scomparve,
galoppando al di là del terrapieno.
La inseguì di lontano. Mi graffiavano
le felci il volto. Insanguinai le dita,
mi lacerai il vestito. Ma correvo
urlando come belva e la chiamavo:
e la mia voce era suon di corno.
Ma lei, delineando un’orma lieve
sulle dune friabili, scomparve
tra le trame notturne degli abeti.
Ora io giaccio anelando sulla sabbia.
Ma ancora nelle mie rosse pupille
ella corre, ella ride: e i capelli
ridono ancora, ridono le gambe,
ride al vento la veste nella corsa.
Io giaccio e penso: oggi sarà notte.
Domani sarà notte. Rimarrò
qui finchè non l’agguanti come fiera
o col suono di corno della voce
non le tagli la fuga. E non dirò:
“Mia. Sei mia”. Purchè lei mi dica:
“Son tua! son tua!”
written by: Malfido time 19:00 | link | commenti (1)
sections: 14- letteratura arte opinioni

Finlandia dreaming

platano
Brecht veniva da un paese nazista, ed è andato a rifugiarsi in Finlandia.
Noi viviamo in un paese piduista, probabilmente pitreista, dove settori deviati della politica e dei servizi si mettono in società (segreta) con la criminalità organizzata per far andare le cose a modo loro, senza disdegnare mezzi estremi, naturalmente illegali e violenti.
In giorni come questo io riprendo in mano i Dialoghi di profughi, e mi fermo al decimo, quello in cui Ziffel e Kalle discutono di partiottismo e del mettere radici.
[…]
ZIFFEL Mi è sempre parso strano che si debba amare di più il proprio paese, dove si pagano le tasse. Il fondamento per l’amor di patria è il contentarsi di poco, un’ottima qualità, quando non c’è niente.
KALLE L’amor di patria te lo pregiudicano già col fatto che non ti lasciano veramente scegliere. E’ come se dovessi amare la donna che sposi invece di sposare quella che ami. Ecco, fatemi vedere un pezzetto di Francia, un lembo di buona Inghilterra, duo o tre montagne svizzere e un po’ di costa norvegese; io punto il dito e dico: questo me lo prendo come patria. Allora sì che me lo terrei caro. Ma oggi è come se niente potesse essermi più caro del davanzale da cui sono cascato una volta.
[…]
KALLE A lei il gusto per il suo paese gliel’hanno rovinato i patrioti che lo posseggono. Qualche volta penso: che bel paese avremmo, se ce l’avessimo davvero noi! […]
written by: Malfido time 18:57 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni
lunedì, 12 luglio 2010

Tra moglie e marito

il-bacio-di-klimt
Proseguiamo la lettura di “Una scrittura femminile azzurro pallido” origliando la confessione di Amelie a Léon.
Le risposte emotive rapide, spiegano i neurologi in testi recenti, basate sul sentimento, prima che sul pensiero, sono un processo veloce ma poco preciso, che nell’uomo (e nella donna) è confinato alle crisi emotive (spavento, passione, paura). La velocità di queste reazioni istintive (che è pressoché dimezzata rispetto a quando il processo coinvolge la corteccia, area sede dell’elaborazione del pensiero) è probabilmente ciò che ha salvato la vita ai nostri proto antenati.
Nel caso del caos emozionale il margine d’imprecisione legato alla rapidità di queste risposte può farci saltare troppo in fretta alle conclusioni. Eppure, intuiva Werfel nel 1941, esso apre anche ad una forma d’intuizione tipicamente femminile, che coniuga l’inquietudine della donna ad un possibile quadro di realtà, nuda e cruda, mai ravvisato prima, rispetto alla situazione molto coinvolgente che sta vivendo.
Questo succede ad Amelie Paradini, nei confronti di quel vigliacco di suo marito, per colpa della lettera scritta a mano con inchiostro blu da Vera Wormser. Amelie è troppo fiera dei suoi sentimenti, e troppo fresca, per capire che col suo delirio visionario ci ha azzeccato davvero. Il suo vile marito l’ascolta e ha qualche vertigine, ma non perde l’occasione di strumentalizzare al meglio la sincerità indifesa della moglie.
Ho guardato le illustrazioni di “Vogue” e di “Jardin des Modes” senza vederne davvero neanche una, solo per non impazzire, perché, come sai, ero convinta, incredibilmente convinta che tu fossi un impostore, uno che passa la vita a ingannare e imbrogliare, insomma, come ho già detto, una specie di seduttore di cameriere in libera uscita, pronto a svignarsela in quattro e quattr’otto come un’anguilla scivolosa, è da più di vent’anni che mi abbindoli con continue “simulazioni”, pensavo, non è così che si chiamano in tribunale? Perché dal giorno del nostro fidanzamento non hai fatto che simulare, e a me c’è voluta una vita, e ho perso la gioventù prima di capire che hai un’amante, una donna in loco di nome Vera Wormser, perché ho visto la sua lettera pochi minuti prima che tu scendessi per la prima colazione, ed è stata una specie di tremenda illuminazione, e ho dovuto chiamare a raccolta tutte le mie forze per non rubarla, quella lettera, ma tanto non sarebbe servito, perché grazie a quella illuminazione mi è stato chiaro come il sole che tu sei un uomo dalla doppia vita, sono cose che si vedono al cinema, e che voi due avete in comune una casa, un ménage idilliaco tu e Vera Wormser in loco, perché io che ne so di quel che fai tu nelle ore d’ufficio e durante tutte quelle conferenze fino a notte fonda, e insieme avete anche dei figli, due, o forse addirittura tre… E ho visto anche la casa, parola mia, a Döbling, mi sembra vicino al parco Kugler o al parco Wertheimstein, in modo che i bambini possano sempre respirare aria buona, e in questa confortevole casetta che tu hai arredato per quella donna io ci sono perfino entrata, ritrovando in essa diverse piccolezze che avevo perso, e ho visto anche i tuoi bambini, davvero, tre, tre piccoli orribili bastardi che ti saltellavano intorno chiamandoti “zio”, o qualche volta sfacciatamente “papà”, e tu gli sentivi le lezioni, e il più piccolo si arrampicava addosso a te perché tu eri proprio uno di quei babbi felici di cui si legge nei libri di scuola. E tutto questo ho vissuto, tutto questo ho tollerato nella mia testa imprigionata sotto il casco della permanente, e non potevo assolutamente andar via, anzi dovevo rispondere gentilmente al viscido padrone di quel negozio che veniva da me per intrattenermi […]
Non soltanto ti ho odiato Léon, ho avuto anche una tremenda paura di te. La tua doppia vita era davanti ai miei occhi, come e perché non sono in grado di dirtelo, Léon, ma ad un tratto ero sicura, sicura in un modo incredibile e di cui ora non riesco a farmi una ragione, che tu mi avresti ammazzata perché dovevi in ogni caso liberarti di me.  […] [I]n quel momento mi sono sentita come folgorata: Non vuole nient’altro, quest’uomo, che impadronirsi delle mie sostanze quando sarò morta. Sì, Léon, questo sembravi lassù, davanti al mio scrittoio con il cassetto aperto, niente di meno che un falsario di testamenti, un arraffa eredità colto in flagrante. […]
E io che sono stata così oca da rallegrarmi, quando, poco fa, ti ho sorpreso a rovistare ignobilmente tra le mie lettere… Dunque in fondo è geloso, ho pensato… e invece no, neanche per sogno… probabilmente ti incuriosivano cose più concrete e di maggiore valore delle lettere d’amore, perché il tuo aspetto era talmente equivoco che io mio sono spaventata… sembravi proprio un malfattore, un truffatore travestito da gentiluomo, un seduttore di cameriere in libera uscita…
Eppure sì, ha sbagliato ma ha colpito nel segno lo stesso. Seduttore di cameriere in libera uscita. La sua rabbia non mi rende certo più facili le cose. Non ho nessuna possibilità di incominciare…
[S]o bene che tu non hai nessuna colpa per le atroci congetture di questa mattina, la colpa è solamente mia e della lettera di quella innocente signora Wormser, la quale ha comunque una calligrafia antipatica. Il più contorto e lambiccato degli uomini non potrebbe mai sognare – ma no, non trovo la parola giusta, sognare non rende l’idea – come una donna sotto il casco del parrucchiere. E dire che non sono un’isterica e che, tu stesso ne eri convinto un tempo, sono piuttosto intelligente. Devi capirmi, Léon, lo sapevo che non sei capace di avere una doppia vita, e che il denaro non ti ha mai interessato e che sei l’uomo più nobile della terra, […] e che comunque sei di gran lunga  superiore a me. Ma nello stesso tempo sapevo anche che sei il più scaltro degli imbroglioni, e il mio dolce assassino, il mio amato avvelenatore. Credimi, non era gelosia, è stato come qualcosa che mi venisse da fuori, una specie di ispirazione.
Mai Leonida aveva assistito a un simile auto svelamento né aveva neanche alla lontana immaginato che quella donna ne fosse capace. […] Era sgradevole ma anche assai commuovente. Hai ragione, bimba mia! E’ stata una vera illuminazione quella che hai avuto stamattina e che per tante ore non ti ha abbandonato. La lettera di Vera ti ha ispirato. Sbattendo le ali come una farfalla, hai volato vicinissima alla fiamma della verità. Non posso spiegartela io la tua perspicacia. Perché in tal caso dovrei finalmente parlarti a cuore aperto. […] Ma come posso parlare adesso in questo modo? Come potrebbe parlare così anche un uomo con un carattere ben più forte del mio?
pp. 85-93