martedì 10 gennaio 2012

martedì, 19 luglio 2011

Orfeo e Euridice

Perchè Orfeo si voltò? Questo si chiede Virginio Gazzolo dentro un Cd che mi è stato regalato, una selezione di tracce dall'archivio sonoro del Teatro di Reggio Emilia.

Poliziano, Rilke, Ovidio, ci hanno lasciato intendere la ragione, secondo loro. Anche Roberto Vecchioni, in un brano dedicato ad Euridice, si è dato una spiegazione del perchè il marito abbia rinunciato a strappare la sua sposa alla morte...

"Voleva forse baciarla? Fu follia? O voleva soltanto assicurarsi che lei lo seguisse, che non si fosse persa?"

Secondo alcuni di questi autori fu un folle gesto d'amore. O di terrore, di spavento per il sinistro fruscio delle bende funebri dietro di lui.

Secondo Rilke è la morte, che, come l'amore, cambia tutto:

"Ormai non era più la donna bionda
che altre volte nei canti del poeta
era apparsa,  non più profumo e isola
nell’ampio letto, e proprietà dell'uomo.
Ora era sciolta come negra chioma,
diffusa come pioggia sulla terra,
divisa come un'ultima ricchezza.
Era radice ormai.
E quando a un tratto il dio
la trattenne e con voce di dolore
pronunciò le parole: si è voltato-
lei non comprese e disse piano: Chi? "

Uno dei più coraggiosi argonauti, il figlio della Musa Calliope, musicista e poeta, Orfeo fu tra i pochi, forse l'unico, ad incantare con la sua arte Cerbero e Caronte e i giudici dell'Oltretomba, tanto che per un attimo cessò la tortura dei dannati e il temutissimo Ade gli consentì di ricondurre sua moglie verso la luce.

Eppure il gesto che ricaccia Euridice nel regno dei morti rimane un mistero, che la mitologia ci riconsegna potenziandolo, come solo lei sa fare. Vecchioni avvolge così bene questo mistero nei due versi che dicono "perché tutto quello che si piange/ non è amore."

Morirò di paura
a venire là in fondo
maledetto padrone
del tempo che fugge
del buio e del freddo;
ma lei aveva vent’anni
e faceva l’amore
e nei campi di maggio
da quando è partita
non cresce più un fiore.
E canterò
stasera canterò
tutte le mie canzoni canterò
con il cuore in gola canterò:
e canterò
la storia delle sue mani
che erano passeri di mare
e gli occhi come incanti d’onde
scivolanti ai bordi delle sere.
Canterò le madri
che accompagnano i figli verso i loro sogni
per non vederli più la sera sulle vele
nere dei ritorni.
E canterò
canterò finché avrò fiato
finché avrò voce di dolcezza e rabbia
gli uomini semidimenticati
gli uomini lacrime nella pioggia
aggrappati alla vita che se ne va
con tutto il furore dell’ultimo bacio
nell’ultimo giorno dell’ultimo amore.
E canterò finché tu piangerai
E canterò finché tu perderai
Canterò finché tu scoppierai
e me la ridarai indietro.
Ma non avrò più la forza
di portarla là fuori
perché lei adesso è morta
e là fuori ci sono
la luce e i colori
dopo aver vinto il cielo
e battuto l’inferno
basterà che mi volti
e la lascio alla notte
e la lascio all’inverno.
E mi volterò (Le carezze sue di ieri)
Mi volterò (non saranno mai più quelle)
Mi volterò (e nel mondo su, là fuori)
Mi volterò (si intravedono le stelle)
Mi volterò perché l’ho visto il gelo
che le ha preso la vita
E io, io,
adesso nessun altro
dico che è finita
e ragazze sognanti
mi aspettano a danzarmi il cuore
perché tutto quello che si piange
non è amore.
E mi volterò perché tu sfiorirai
Mi volterò perché tu sparirai
Mi volterò perché già non ci sei
E ti addormenterai per sempre.

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written by: Malfido time 16:58 | link | commenti (2)
sections: 09-personaggi famosi
sabato, 09 luglio 2011

Amleto

To be, or not to be: that is the question:
Whether 'tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die: to sleep;
No more; and by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to, 'tis a consummation
Devoutly to be wish'd. To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause: there's the respect
That makes calamity of so long life;
For who would bear the whips and scorns of time,
The oppressor's wrong, the proud man's contumely,
The pangs of despised love, the law's delay,
The insolence of office and the spurns
That patient merit of the unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover'd country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action.
simb_049Essere o non essere, questa è la domanda:
se sia più nobile per la mente sopportare
i sassi e le frecce della oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e contrastandoli, finirli. Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire fine
alla stretta del cuore e ai mille tumulti naturali
che eredita la carne: è una consumazione
da desiderare devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Ah, qui è l’intoppo.
Perché, in quel sonno di morte, quali sogni
Possano venire, dopo che ci siamo cavati
Di dosso questo groviglio mortale,
deve farci esitare. Ecco il motivo
che dà alla sventura così lunga vita.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli insulti
Del tempo, il torto degli oppressori,
l’offesa degli arroganti, gli spasimi
dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e gli insulti
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando da solo potrebbe darsi quietanza
con un semplice stilo? Chi vorrebbe portare pesi,
imprecare e sudare sotto una faticosa vita,
se non fosse che il terrore di qualcosa
dopo la morte, il paese inesplorato
dal cui confine nessun viaggiatore ritorna,
sconcerta la volontà e ci fa sopportare
i mali che abbiamo piuttosto che volare
ad altri che non conosciamo?
Così la coscienza ci rende codardi tutti,
e così il colore naturale della risolutezza
è contagiato dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento,
per questa causa, deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione.

(Alessandro Serpieri, Marsilio, Venezia 2003)
 
 
  T.S. Eliot definì Amleto “La Gioconda della letteratura mondiale”, dato che raramente quest’opera è stata lasciata in pace, sia per quanto riguarda ciò che le è proprio, sia per chiamare in causa motivi e riflessioni forse non del tutto attinenti.

Se sia un’opera perfetta o no, davvero enigmatica o no, non sta a me dirlo. Mi basta riconoscere che mai, nel corso del tempo, mi è stata indifferente, mai ho avuto l’istinto di dirne male –a volte gli studenti, ed io lo sono, se lo permettono-, e mai questa tragedia è rimasta in silenzio quando, alla maniera di come traduce il professor Serpieri, maestro dei miei tentativi di avvicinamento al dramma shakespeariano, sudavo sotto una faticosa vita.

Non credo comunque che sia bastato Amleto, pur insistendo, a far sì che io capissi che il senso della ricerca è scoprire le domande che restano aperte al di là di ogni possibile risposta: bisogna aver compreso la realtà, in questo senso, e i libri aiutano ed fanno da guida, ma non così tanto...

Vivere comporta dei pesi che spesso non sappiamo, né possiamo portare, e però nemmeno respingere.

Qualunque modello simbolico del mondo sembra fatto per svuotarsi nel momento in cui abbiamo bisogno di farne un perno.

E mentre il pensiero ritarda l’azione, e l’azione tradisce il pensiero, vaghiamo tra visioni di vita e fantasie di morte che non siamo in grado di esprimere fino in fondo, tanti sono i trucchi che il linguaggio ci tende. A questo punto, scoprirci simili al principe Amleto ci offre qualche risorsa in più per tenere duro.

Alcuni mesi fa ero appassionatissima all’elenco delle cose da sopportare che il giovane stila:
  
[…] the whips and scorns of time,
The oppressor's wrong, the proud man's contumely,
The pangs of despised love, the law's delay,
The insolence of office and the spurns
That patient merit of the unworthy takes
[…]le frustate e gli insulti
del tempo, il torto degli oppressori,
l’offesa degli arroganti, gli spasimi
dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e gli insulti
che il merito paziente riceve dagli indegni
 
 
Forse una delle chiavi di lettura della classicità di Amleto sta proprio nel significato da attribuire a time: l’epoca, il tempo presente, ma anche il tempo in senso filosofico, lo scorrere inarrestabile delle cose che facciamo (anche non nobili) contrapposte al perdurare immutabile, temiamo inaccessibile, di ciò che è dato come essere.

Amleto non ha certo la forza ed il coraggio dell’eroe classico, che ha ricevuto da Dio o dagli Dei le sue virtù. Egli cerca le proprie qualità, come primo vero essere individuale, senza peraltro sapere quali siano e sfuggendo a ciò che dovrebbe fare.

Se si pensa che la morte sia simile ad un sonno, che trascina all’abbandono e conduce alla liberazione, liberarsi del corpo non è la soluzione: This mortal coil, questo groviglio mortale, non può sciogliersi lasciando libera l’anima senza che questa tema ora i paesi inesplorati dai cui confini nessun viaggiatore ritorna, metafora della morte, ma anche della perdita di sè.
 
To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause: there's the respect
That makes calamity of so long life;
 
Dormire, forse sognare. Ah, qui è l’intoppo.
Perché, in quel sonno di morte, quali sogni
Possano venire, dopo che ci siamo cavati
Di dosso questo groviglio mortale,
deve farci esitare. Ecco il motivo
che dà alla sventura così lunga vita.
 
A sconcertare la sua volontà interviene the rub: l’ostacolo incidentale che, spiegano così bene i commentatori, nel gioco delle bocce impedisce una traiettoria lineare.
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action.
Così la coscienza ci rende codardi tutti,
e così il colore naturale della risolutezza
è contagiato dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento,
per questa causa, deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione.
 
 E’ la coscienza che ci rende codardi tutti, è la paura the rub, l’ostacolo accidentale. La paura in scena, dentro un dramma  che può essere, ed è da sempre, transcodificato all’infinito: attraverso il rapporto tra i personaggi, tra i caratteri e il pubblico, l’intonazione recitativa, la mimica.

Ci capirà l’autore, se nel diventare Amleto l’abbiamo inevitabilmente tradito, sottraendo o aggiungendo simboli, teatralità e significati: Amleto stesso ha messo in scena un dramma dentro il dramma per catturare la coscienza del re suo zio, colpevole della morte di suo padre. 
venerdì, 08 luglio 2011

Se Alice si è messa a studiare...

alice... una delle sue amiche, poi,  un giorno, le scrive una cosa, che a lei piace leggere e mettere da parte:

[...][H]ai tracciato le strade, i confini e le aperture di un viaggio sincronico mentale ed emozionale che ti ha portato ad esplorare, ancora una volta, la tana del "Bianconiglio".

[Il] tuo [bagaglio è] troppo nutrito e corposo, come una matassa raggomitolata ben bene che solo tu riusciresti a snodare con destrezza...ma ho la voglia ed il piacere di tuffarmi dentro l'eco delle tue parole che escono da quella tana come una melodia di suoni, emozioni e rimandi che portano il tuo interlocutore ad un viaggio interiore.

 
Un viaggio che a sua volta l'interlocutore  ripercorre a ritroso nella propria tana, rantolando, inciampando, sbattendo e, chissà mai, a volte trovando cunicoli che congiungono i due mondi.
written by: Malfido time 10:52 | link | commenti
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giovedì, 07 luglio 2011

Correspondances

simb_049Grazie a Paola oggi mi rimetto a leggere Les Fleurs Du Mal, di cui riporto il manifesto programmatico nei miei appunti, insieme ad un po' d'immagini della mostra di Ferrara che mi sono persa, ma che Paola ha visto e recepito così bene.

Come Paola mi mostra, una rete di legami misteriosi unisce tutte le realtà in un’unità nascosta, che l’uomo fatica a cogliere, anche se i simboli gli suonano familiari perché corrispondono a qualcosa che giace nel profondo di ognuno.

Ci vorranno tempo ed occasioni, per continuare ad indagare, e a spiegare, di che cosa è fatta questa unità profonda e tenebrosa.

La natura è un tempio dove pilastri viventi
lasciano talvolta sfuggire confuse parole −
l'uomo vi passa lungo foreste di simboli,
che lo fissano con sguardi familiari



Perseveriamo nel coltivare anche sinesteticamente la nostra raffinata capacità percettiva...
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiars.
Comme de long échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme del hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.


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HME & BB

250px-08_tory_railtrack_ubtAvendo io una mania archivistica di ciò che ho letto, ascoltato, visto, studiato, che è la più dettagliata, e inquietante, che conosco, mi bastano pochi minuti per attivare un confronto tematico e semantico tra i precedenti Erich Fromm e Hans Magnus Enzensberger e il povero BB.

Così mi diverto, imponendo a me stessa che la ricerca vada a frugare prima nella mia testa, e poi nella memoria del computer.

Bene, sul legame tra insicurezza e violenza cito il CANTO NUMERO 2:

Avete sentito?
Bisogna eliminare la sicurezza.
L’ordine rimane dietro di loro?

Commerciante, hai sentito,
tu arrivi col tuo facchino in zona di deserto?
Che ti succederà? Con lui funziona?
Ti vuol bene? Ha motivo per volerti bene?
Quando la sabbia è contro di voi: il tuo compagno è per te?
Quando lo stradone finisce, dove andrete?

Dove finisce la città
anche l’ordine finisce
Senza la forza
sicurezza non c’è,
solo lo sfollagente
rende la gente pia.
In tempi di disordine,
nelle piazze in preda al caos,
l’uomo agli uomini è un lupo.

Nelle città di oggi
non regna più ordine.
Lo sfollagente mantiene
l’insicurezza.
Nessun deserto
è tanto inquietante, quanto le città per noi
nessun animale è feroce
per te quanto l’uomo
che lo sfollagente protegge.

Sul legame invece tra pecore, conformismo e ignoranza, c’è questo attualissimo testo di Brecht:

Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato - esso è
Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
hanno fatto sì che i vostri piedi
non urtino nessuna pietra. Allora non devi
imparare niente. Così come sei
puoi rimanere.

E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
come ho sentito, sono insicuri
hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
che sanno le verità
che hanno validità in tutti i tempi
e le ricette che aiutano sempre.

Dato che ci sono così tanti che pensano per te
non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così
allora dovresti studiare.

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Copia di nikon07 336Il poeta e narratore tedesco contemporaneo Hans Magnus Enzensberger, scrisse, verso la fine degli anni ’50 e in piena Adenauerszeit, una convinta difesa dei lupi contro le pecore, che io metto qui, dopo aver seguito Erich Fromm in una parte della sua discussione sulla natura dell’uomo. Con spirito molto Brechtiano, Enzensberger ce l’ha davvero con le pecore, troppo pigre e obbedienti, silenziose e opportuniste.

Deve mangiar viole del pensiero, l’avvoltoio?
Dallo sciacallo, che cosa pretendete?
Che muti pelo? E dal lupo? Deve
da sé cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa idioti vi incanta, perdendo biancheria
sullo schermo bugiardo?

Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui pantaloni? Chi
trancia il cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la croce di latta
sull’ombelico brontolante? Chi intasca
la mancia, la moneta d’argento, l’obolo
del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i ladri; chi
li applaude allora, chi
li decora e distingue, chi è avido
di menzogna?

Nello specchio guardatevi: vigliacchi
che scansate la pena della verità,
avversi ad imparare e che il pensiero
ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello più caro,
nessun inganno è abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo, ogni ricatto
troppo blando è per voi.

Pecore, a voi sorelle
son le cornacchie, se a voi le confronto.
Voi vi accecate a vicenda.
Regna invece tra i lupi
fraternità. Vanno essi
in branchi.

Siano lodati i banditi. Alla violenza
voi li invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i guaiti ancora
mentite. Sbranati
volete essere. Voi
non mutate il mondo.

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