martedì 10 gennaio 2012

martedì, 23 novembre 2010

Elenco delle cose che passano sul corpo delle donne

Copia di DSCN2035
(legge Emma Bonino, vicepresidente del Senato)
  1. Il corpo della donna è un campo di battaglia. Dai tempi di Elena di Troia e del ratto delle Sabine fino a oggi, in Afghanistan e anche da noi
  2. Qualcuno rideva quando le donne dicevano: io sono mia. C'era poco da ridere. Le donne sono di qualcuno per definizione. Perché, se no, il comandamento direbbe “Non desiderare la donna d’altri”?
  3. È sbagliato parlare di diritto all’aborto. Si tratta DEL diritto a diventare madri per scelta. Abortire è una angosciosa necessita ; ricorrere alla procreazione assistita è spesso un atto d amore
  4. Gli uomini che comprano  donne sono molti di più delle donne che comprano uomini. Non è soltanto  una questione di potere d'acquisto.
  5. Non esiste alcun capo di vestiario maschile che copra integralmente un uomo nascondendolo dalla testa ai piedi
  6. Chissà se esiste davvero una nipote di Mubarak. Esiste però una signora Mubarak in prima linea contro le mutilazioni genitali femminili. E la signora Clio Napolitano e molte first-lady dell'Africa e del mondo hanno firmato un appello per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili. Non lo sapevate? Ora lo sapete.
  7. Nel 1993 la signora Lorena Bobbit evirò suo marito con un coltello. Ci fu molto scalpore per una singola mutilazione genitale maschile. Ma Le donne che hanno subito mutilazioni genitali sono  nel mondo circa 130 milioni. Ogni anno, 3 milioni di bambine.
  8. In molte parti del mondo si abortiscono le bambine , o si sopprimono alla nascita, non servono. Si calcola che oggi manchino all’appello circa 100 milioni di ragazze.
  9. Le tradizioni e i costumi vanno rispettati, ma il diritto della persona è uno solo. Non c'è una legge fuori casa e un'altra in casa. Una ragazza,  italiana o pakistana che sia, deve poter decidere dei propri capelli, del proprio vestito, della propria domenica e del proprio venerdì.
  10. In Italia  Il delitto d'onore è stato abolito solo nel 1981. Fino ad allora si poteva uccidere la moglie, la figlia, la sorella con una pena irrisoria se l'assassino sosteneva di avere agito “perché offeso nel suo onore”. È ancora cosi,  in molte parti del mondo.
  11. Intendiamoci anche le donne, quando sono sceme sono sceme forte.
  12. Una signora ha scritto: IN  GENERALE le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è così difficile.
sabato, 20 novembre 2010
tiepoloBollati Boringhieri ha pubblicato da poco Il Libro rosso di Carl Gustav Jung, il diario personale che egli non volle terminare nè pubblicare in vita e che giaceva come un tesoro nel caveau di una banca svizzera.

Maledetti speculatori, adesso costa 150€, perciò mi faccio anche un sacco di problemi a chiedere alla Biblioteca Laudense di acquistarlo.
La scusa è che il tomo riporta le riproduzioni dei manoscritti originali, oltre a saggi di costosissimi studiosi. Roba da pazzi, c'è da arrabbiarsi sul serio.

Quando l'illustrissimo mio professore Giorgio Cusatelli curò l'edizione italiana di tutti i fascicoli della rivista  Athenaeum dei fratelli August e Wielhelm von Schlegel (1798-1800) rese nota al grande pubblico una specifica cifra culturale di una ricchezza che non sarà mai possibile apprezzare fino in fondo, e per fare ciò creò un pool di germanisti -i migliori tra i suoi ex allievi, molti ancora piuttosto giovani- che corredarono di traduzione e di apparato critico un tomo di oltre mille pagine, che ai tempi costava 100€, ma che ora ne costa 32. Questa è l'editoria al servizio di chi studia, secondo me. L'iniziativa di Bompiani, per quanto interessante, mi sembra molto più snob (e snob è una parola gentile).

Comunque il Libro Rosso di Jung è il racconto delle visioni e voci che risiedono nella testa dello scienziato alla ricerca dell'essenza (anche dolorosa e impura) della sua anima. 

«È importante - scrive Jung - avere un segreto, una premonizione di cose sconosciute. L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso; che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili. Solo allora la vita è completa.»

Il vento secco del risentimento (M. Belpoliti)

Copia di DSCN1628Ascoltando la rassegna stampa di Radio 3 dedicata alle pagine culturali, lo scorso giovedì mattina, mio giorno libero, sono venuta a conoscenza dell'approfondimento di Marco Belpoliti su uno stato d'animo che ultimamente purtroppo condiziona il sentire di molti italiani: il risentimento. Facendo una ricerca sul web mi rendo conto che lo scrittore e critico letterario pubblica piccoli saggi su questo tema da diversi mesi.

Dato che il mio scontro con l'attualità di questo stato è particolarmente recente (ho conosciuto di colpo qualche centinaio di persone e tutte ce l'hanno con qualcuno), eccomi qui a riassumere quelle parti di Belpoliti che trovo più significative, lucide ed illuminanti.
Gli articoli che contengono questi passaggi sono da La Stampa del 22 giugno e 18 novembre scorsi.
Spira oggi in Italia il vento secco del risentimento. Tutti risentiti, e spesso per motivi diametralmente opposti. Perché siamo arrivati a questo? Nella società contemporanea sempre più spesso i singoli provano un senso di animosità verso gli altri, o verso il mondo in generale, quale risposta a offese, affronti o frustrazioni che ritengono di aver subito. Risentimento e rancore sono sinonimi; rancore viene dal latino rancor, «lamento, desiderio, richiesta» e, come ricorda lo psicoanalista argentino Luis Kancyper, ha la medesima radice di rancidus, «astioso», «stantio», ma anche «zoppo»; risentimento significa invece: «sentire ancora». È il ritornare incessante sul proprio stato emotivo senza possibilità di allontanare definitivamente l’offesa o il torto.
Se il torto riguarda la sfera morale, e implica un oltraggio o un’insolenza, scattano reazioni come la rabbia o l’ira; e sono proprio queste due emozioni che si trasformano in rancore e in risentimento. Gli psicologi ritengono che la radice profonda del risentimento si trovi nell’invidia. Perché lui sì e io no? Secondo il filosofo sloveno Slavoj Zizek, l’invidia è qualcosa di più, o di meno, del desiderio di possedere quello che ha l’altro. Zizek racconta una storiella. Una strega dice a un contadino: «Farò a te quello che vuoi, ma ti avverto, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino!». E il contadino con un sorriso furbo le risponde: «Prendimi un occhio!». Qualunque discussione pubblica oggi finisce immancabilmente nell’accusa reciproca e nel rancore: politici contro calciatori, calciatori contro politici; rimproveri su stipendi eccessivi, rimborsi spese, cachet televisivi; dalla televisione al parlamento è tutto un dito puntato contro gli altri: tutta colpa loro.
L’invidia, del resto, è molto più temibile della stessa gelosia. Oggi, secondo i sociologi, l’inseguimento consumistico, l’ostentazione, porterebbero a insoddisfazioni, forme ossessive di ripiegamento su se stessi, da cui scaturisce la malattia del risentimento; è dalla continua competizione per l’affermazione di sé, uno dei tratti più caratteristici della società attuale, che nasce questo sentimento pernicioso. Rispetto al passato gli individui mostrano una sempre maggior incapacità a sopportare massicce dosi di frustrazione necessarie alla riproduzione del sistema sociale. In definitiva, il risentimento è la condizione sentimentale, scrive Stefano Tomellieri in un suo saggio, La società del risentimento (Meltemi), di chi per lungo tempo ha coltivato un sogno, un progetto, un desiderio, ma non ha realizzato ciò cui aspirava, e ora sente che quanto aveva immaginato non si realizzerà mai: una vera e propria intossicazione dell’anima. Kancyper sostiene che questa emozione è legata alla dimensione temporale e differenzia tra due tipi di memorie: la memoria del dolore, che continua nel tempo della rassegnazione, e la memoria del risentimento e del rancore, che «si trincera e si nutre dell’aspettativa della vendetta in un tempo futuro».
Se si pensa a quanto questo abbia contato, e ancora conti nella storia del nostro Paese, come dimostra il libro di John Foot Fratture d’Italia (Rizzoli), dedicato alla storia dei monumenti e delle targhe-ricordo. La storia appare un campo di battaglia di una guerra senza fine: Garibaldi, i briganti meridionali, i Borboni, Cavour, la Prima guerra mondiale, gli arditi, D’Annunzio, il fascismo, la Repubblica Sociale, le brigate partigiane, le stragi degli Anni Settanta, ecc. Gli psicoanalisti ci ricordano che il risentimento è legato alle pulsioni di morte: «La compulsione ripetitiva e insaziabile del potere vendicativo». E si regge sul principio del «tormento», un pensare calamitoso in cui la collera diventa la sola via di fuga dal tormento interiore. Il rancoroso possiede una memoria implacabile, non può perdonare né perdonarsi; è offuscato dalla memoria di un passato che non può separare e tenere a distanza. Ciò che manca a chi soffre di questo sentimento è la capacità di ri-vivere, quindi di trovare un senso all’offesa patita, o solo immaginata, di farla transitare attraverso l’esperienza del proprio vissuto; non si congeda mai dal ricordo della frustrazione.
Sia nel risentimento, come nella vergogna, appare la figura del «rimorso», il tornare a mordere, o mordersi, sotto la pressione di un’emozione, dice Kancyper, alimentando l’attesa di nuove vendette rivolte, prima di tutto, contro se stessi.
Hannah Arendt sostiene che è il sentimento di sentirsi perduti a spingere verso la malvagità; l'invidia è vista come una possibile strada d'uscita per ristabilire in modo aggressivo il proprio Io diminuito e offeso. Per questo è la mediocrità, dice la filosofa tedesca, a produrre più facilmente la malvagità, smentendo l'idea luciferina e seduttiva del Male dei grandi moralisti. La mediocrità come fonte di corruzione dell'anima umana? Adolf Eichmann è per Hannah Arendt l'esempio del malvagio sostanzialmente mediocre.
Il risentimento appare dunque come il risultato della continua competizione per l'affermazione di sé che, come si è detto, è uno dei tratti più caratteristici della società attuale. Per Friedrich Nietzsche il risentimento è la malattia delle emozioni nelle società moderne, delle democrazie in particolare, che [...] fanno del rancore il motore stesso della modernità.
In definitiva, il risentimento è la condizione sentimentale di chi [...] ora sente che quanto aveva immaginato non si realizzerà mai. Per questo costituisce una vera e propria intossicazione dell'anima contemporanea. La corruzione come erodere, disgregare, sgretolare, come premessa per la tristezza? Riusciremo come Paese a riprenderci da tutto questo? La battaglia contro la «corrutela» comincia dallo stato d'animo. Forza italiani, ancora uno sforzo!
written by: Malfido time 11:37 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Eroismo

roseIn questa notte d’autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
la tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini”.
(Nazim Hikmet, 1948)
written by: Malfido time 07:50 | link | commenti
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venerdì, 19 novembre 2010
Copia di DSCN1621Nei miei appunti di diverso tempo fa ho cercato uno brano di Andrea Maietti che avevo messo da parte durante le superiori, in quel periodo in cui avrei voluto essere nata in grado di giocare bene a pallavolo. Probabilmente erano il fascino di Julio Velasco e la retorica degli "occhi della tigre" alla Rocky, che l'allenatore spesso citava, a stimolare il mio desiderio di vittorie e di sconfitte di squadra. Leggevo dunque storie e giornali di sport, un microcosmo che dà intense emozioni ai veri tifosi, consentendo belle immedesimazioni.

Mi è simpatico chi tifa per tutta la vita come se avesse quindici anni, lo trovo un fatto del tutto naturale.

Che soddisfazione vedere i pallavolisti sul tetto del mondo quindici anni fa fare ancora squadra nell'ultimo videoclip di Francesco Baccini, dove la partita di volley è una metafora dei set giocati tra gli uomini e le donne.

Al di là di quest'ultima inaspettata sorpresa io ho fatto con gioia l'esperienza che esiste un'età in cui preme il bisogno di "essere uguali, essere con", pur sentendosi diversi; senza sapere che poi, nella fase successiva della vita, si lavorerà per costruire a tutto tondo la propria unicità, magari anche scartando qualche opportunità di aggregazione.

Beh, io non ricordo come cominciava il racconto di Maietti. Mi viene in mente solo che c'erano i ragazzi e l'autista sul pullmino della scuola. L'autista, ad un certo punto, fa dell'ironia su un campione alla Primo Carnera, e su una sua stracciante vittoria. Ai tempi, questo passaggio scherzoso mi aveva molto colpito. Non me ne rendevo del tutto conto, ma stava in contrapposizione dialettica col mio stato d'animo di giovane campionessa in pectore.
A pensarci, a distanza, il paradosso del mio vecchio autista non mi pare del tutto infondato. Un uomo ricco di forza e di salute, se non più intelligente, sarà certamente più duro da piegare, meno incline alle astuzie sleali e agli inghippi, nello sport come nella vita. Non è un considerazione ispirata al culto razzista del forte e del bello. L'eroismo, o meglio la dignità di un uomo, non si misura su quello che uno fa, ma su quello che uno riesce a fare in rapporto alle forze del corpo e dello spirito di cui madre natura lo ha dotato: Tutto sommato, per un omone alto più di sei piedi, con fibre e muscoli scavati nella rovere, giocare a rugby non dev'essere molto più di un tonificante passatempo. Così almeno conviene pensare quando si tocca appena l'uno e settanta e lo specchio rimanda- alla barba del mattino una immagine che ispira, d'acchito, una catartica pernacchia.
 
Andrea Maietti  Ercole e Caco giocano a rugby in La lepre sotto la luna
written by: Malfido time 12:28 | link | commenti
sections: 09-personaggi famosi, 11- sfide
mercoledì, 17 novembre 2010

Una polemica di dignità

picasso la danza x outlookQuest'anno ho sette classi all'istituto tecnico, con proroghe ogni  10-14 giorni sulla supplenza. Non è dura avere 190 alunni, è dura quando mi trattano da supplente, che è l'ennesimo grado della precarietà. Perchè oltre al danno c'è la beffa: si pagano costantemente conti non propri. L'assenteismo dell'insegnante titolare, il turnover di supplenti, apprezzati o meno, la permanenza di problematiche specifiche all'interno del Consiglio di Classe, o della classe, investono l'ultimo arrivato, che costituisce la variazione del momento: quindi la patata bollente adesso tocca a lui.

Più gli studenti sono "esperti" della scuola, più questo peso è faticoso.

Nessun insegnante sa davvero come agire, in questi casi. Sa, "solo", di dover mediare, educare, e cercare di affermare la propria diversità. Il supplente non è meglio di nessuno. E' semplicemente altro da ciò che trova. Deve predisporsi ad entrare e uscire da un contesto stabile. Sa anche che se crea un caso non sarà forse lì a gestirlo, nelle settimane, nei mesi che verranno (gli anni che verranno naturalmente per adesso non sono una proiezione alla sua portata).  C'è anche questo da dire: un supplente desidera assumersi la responsabilità della impostazione che dà ai suoi gruppi di studenti, eppure assai raramente ha la possibilità di constatare le ricadute, negative o positive, del suo agire professionale. E alla fine è davvero difficile affermarsi in punta di piedi. Lo sarebbe di meno se il tempo fosse una risorsa sulla quale si può contare. Invece si lavora con persone che, se ci snobbano, è colpa nostra, perchè noi siamo precari.

Recentemente ho scritto una relazione sulla quinta elettrotecnici, la classe col profilo attualmente più basso. La riporto qui, perchè, comunque vada, mi ricorderò di aver agito esattamente come il sistema richiede: molto prima di punire, o di gettare la spugna, c'è il consiglio dei colleghi e  c'è la dirigenza scolastica. Ci sono i rappresentanti dei genitori e degli studenti. Ai quali dire che la supplente non è arrivata per pagare il conto di ciò che è stato portato quando lei non era a tavola, ma per vedere cambiare le cose, possibilmente, sotto i suoi occhi.

Se le cose cambiano, speriamo che accada, è perchè noi, tutti noi, dobbiamo migliorare. Se sono critica nei confronti della scuola, ho imparato che dev'essere soltanto per passione, per partecipazione.
Il fatto che la 5** sia una classe rotante contribuisce spesso ad innescare un’iniziale destrutturazione della lezione. Il più delle volte, quando entro, la classe è vuota e il registro non c’è. Di frequente i ragazzi raggiungono l'aula con una calma eccessiva, e si siedono secondo una disposizione che cambia di volta in volta.
Questo specifico fattore mi ha reso difficile individuare gli alunni all'inizio dell'anno, soprattutto nel caso io avessi voluto prender nota, sul mio registro personale, di uno smisurato ritardo o di un eventuale comportamento poco corretto.
Sul piano dell'atteggiamento relazionale i due terzi degli studenti stanno agendo con grave superficialità. Il comportamento che tengono mette senz'altro in luce il loro peggio, come se non fossero ragazzi della loro età, degni di una quinta superiore, ma un gruppo di immaturi e incivili ragazzini da rimproverare continuamente, a cui piace soprattutto usare parolacce, bestemmiare e rivolgere ai compagni frasi pesantemente irrispettose relative al loro privato, adducendo la scusa che questa sia una modalità di relazione e di linguaggio simpatica e scherzosa.
Se ormai nessuno osa più esporsi troppo, individualmente, su questo piano, presagendo una probabile sanzione disciplinare da parte mia, accade comunque spesso che, nel baccano che gli studenti creano dandosi manforte a vicenda, episodi di grande maleducazione verbale, di chiacchiere chiassose e per nulla pertinenti, di gioco protratto oltre il tempo limite, avvengano alle mie spalle, mentre sono voltata a scrivere alla lavagna e proseguo la spiegazione, oppure dopo che mi sono avvicinata ad un gruppo specifico per andare incontro ad una richiesta di chiarimento. Interrompermi per richiamare o individuare il responsabile del fastidio del momento significa, in questa classe, sacrificare troppo del tempo della lezione, e, nei casi più discutibili, innescare una polemica poco utile con quegli alunni che intervengono quasi solo per animare questioni controverse e assillanti. Non è praticamente possibile identificare eventuali responsabili e passare oltre, perchè il presumibile colpevole non esce allo scoperto, e la mia percezione che si sia trattato dell'alunno X piuttosto che Y viene comunque messa in ridicolo. L’intero contesto crea in me notevoli perplessità sul grado di maturità e di correttezza di questo a volte indefinibile gruppo di alunni, ed ho ormai esaurito la mia non poca pazienza.
Questo è il clima che la maggior parte della classe riserva. Si tratta di studenti che non seguono, disturbano e giocano al ribasso sui contenuti della lezione, interrompendo a sproposito un ritmo di lavoro che faticosamente io riesco ad instaurare col restante terzo dei compagni più seri, motivati e ambiziosi. Nemmeno durante le prove di verifica la classe dimostra serietà e consapevolezza, anzi si palesa particolarmente sprovvista di autonomia e di sicurezza anche nello svolgere le parti più semplici. Ho l’impressione che questo tentativo di passare per sprovveduti anche durante i test o i compiti in classe sia un’ulteriore manovra per convincermi ad abbassare le richieste.
Il percorso di questa classe verso un'adeguata preparazione alla maturità è ancora lungo, ma non c'è condivisione degli obiettivi da parte della maggior parte degli studenti, che nemmeno hanno il libro di testo che propone i contenuti in inglese riconducibili all'area di indirizzo, e non ritengono sia il caso di procurarselo. In sostanza la maggior parte della 5** opera il sabotaggio di una materia che secondo loro si può anche maltrattare adducendo varie ragioni, la prima delle quali è che io sono soltanto una supplente, ed è dunque perfettamente inutile che richieda loro sforzi e impegno come se dovessi avere a tutti gli effetti un peso o addirittura portarli alla maturità, o come se l’esame dimostrasse qualcosa.
In conclusione sono dunque pochi gli alunni che abbiano manifestato costantemente interesse, inclinazione, serietà, buon senso e buona creanza, ed in una classe così sono evidentemente penalizzati. Per il resto dei ragazzi i margini di miglioramento sono enormi, data anche la scarsa buona volontà che si riscontra in partenza. Per ora chiedo una svolta, ma non la ottengo.

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