martedì 10 gennaio 2012

sabato, 06 novembre 2010

Siamo tutti Lorenzo Cuni

adolescentiDopo il post di un po’ di tempo fa dal titolo “Siamo tutti Pietro Moroni”, dedicato al bistrattato alunno delle medie protagonista di “Ti prendo e ti porto via”, eccoci qui, noi lettori, vicini alla voce narrante di “Io e te”.
Chi non ha mai sognato, tra i dieci e i quindici anni, di trasferirsi ad abitare in cantina, magari facendo credere a tutti, per un certo periodo, di essere altrove? Basterebbe avere una scorta di cibo, in modo da poter mangiare tonno a colazione e cioccolato e caramelle per cena, un materasso e una coperta, e, naturalmente, un passatempo adeguato: la tele, e, ai tempi di Lorenzo Cuni, le console per i videogiochi. Ammaniti ci mette pure una scorta di libri di Stephen King, saprà lui perché. Io, per inclinazione personale, avrei probabilmente preferito l’intera serie de “I Quindici”.
Stano ma, già da piccoli, la solitudine è un forziere da difendere, e si fa chiaro quanto essa sia, da subito, contemporaneamente, scelta e subita.
Il più delle volte, nelle fantasie in cui da ragazzini sperimentiamo il nostro isolamento dagli altri, succede, prima o poi, che qualcuno arrivi a farci uscire: un idolo che ci offre la sua amicizia, un supereroe che conta su di noi, o un amore platonico che non trova in giro nessuna più bella di te, insomma, qualcuno di speciale. Non lo sappiamo ancora, ma è poi così che succede davvero: cerchiamo le esperienze che ci conducano fuori, e le persone che ci capitano, che ci affascinano, non sono mai casuali.
C’è un’altra attrattiva imbattibile nello stare in cantina, cioè l’idea di scoprire che cosa c’è lì: oggetti appartenuti agli adulti, ricordi di esperienze di cui noi non sappiamo, e anche cose che sono state nostre, così scopriamo di avere pure noi un passato. La cantina è un luogo della memoria, di una memoria vivente, episodica, casuale e disordinata. Il ciarpame ammucchiato in cantina è sempre presente, ma lontano dagli occhi: è la metafora insistente della memoria latente.
Il percorso di qualunque storia di formazione è la consapevolezza: questo rende alcuni personaggi, i veri protagonisti, diversi dagli altri. Non sono pochi ad essere, o a conoscere, qualcosa. Sono sempre meno quelli che ne hanno, allo stesso tempo, coscienza.
L'inconsapevolezza, dalla tenera età in poi, è pericolosa. Anche questa è una chiave di lettura che Niccolò Ammaniti applica agli adolescenti attuali:
«Noto una grande capacità di rimuovere. Per cui un adolescente può andare bene a scuola, ricordarsi del regalino alla fidanzatina per San Valentino, portare i fiori alla mamma e poi dare fuoco a un barbone. E tutto questo accade grazie alla facoltà di dimenticare. Per cui, il piano morale e quello immorale non entrano quasi mai in conflitto, ma si sovrappongono. Per l'adolescente "sembrare" è la parola chiave. Sembrare agli occhi degli altri ciò che non si è, e che forse non si diventerà mai. Anche sembrare cattivi può produrre danni incalcolabili e irreversibili».

La bella foto dei ragazzi in alto è presa dal sito del Corriere
written by: Malfido time 07:39 | link | commenti (4)
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venerdì, 05 novembre 2010

Io e te, Ammaniti e Kafka

nikon07 285Quando Kafka ha scritto le metamorfosi aveva 33 anni, quasi la mia età.

Gregor Samsa è un commesso viaggiatore non più adolescente che vive coi genitori e la sorella. Il suo chiudersi dentro, una mattina, invece di uscire a prendere il treno, è legato al fatto che si è svegliato trasformato in un insetto gigantesco. Quando uscirà dalla stanza, la situazione precipiterà.

Non ho idea di quante letture psicanalitiche possano essere state pubblicate di questo racconto, e di quante di queste leggano nel personaggio, e magari nel suo autore, retaggi di problematiche adolescenziali non superate.

Kafka è immenso, bontà sua.

E a me piace da matti che, oggi, a tributargli un omaggio, sia Niccolò Ammaniti nel suo ultimo racconto lungo "Io e te".

Lorenzo, il protagonista, desidera mimetizzarsi coi coetanei ed è allo stesso tempo geloso delle sue fantasie, della sua diversità, della sua stretta sfera affettiva. In uno dei suoi scenari immaginati somiglia ad un insetto gigante sdraiato sulla schiena, con mille inutili zampette.

Questo è Gregor Samsa.

"Io e te" mi ricorda molto l'esperienza di scrittura a quattro mani di Massimo e Niccolò Ammaniti, padre e figlio, professore di psicologia il primo e narratore il secondo, intitolata "Nel nome del figlio": un saggio sull'adolescenza strutturato sui racconti di Niccolò e sulle intelligenti, appassionate, didascaliche osservazioni di suo padre.

C'è un segreto nella vita di Lorenzo che nemmeno lui conosce, una ferita troppo lontana nel tempo perchè egli la possa mettere in relazione con la sua incapacità di essere come gli altri. Sarà Olivia, la sua sorellastra grande e semisconosciuta, a raccontarglielo.

Nemmeno lei sta bene, però sembra che  ce la possa fare. Forte e femminile più di ogni persona che Lorenzo conosca, è anche fragilissima, e rischia di cancellarsi completamente. L'emergenza che la colpisce, togliendole qualunque difesa e pudore, insegnerà a Lorenzo a sentire il dolore degli altri e a caricarselo su di sè, che è l'unica forma di mimetismo possibile per qualsiasi diverso, e anche per qualsiasi persona che abbia avuto più fortuna.

In un mondo dove gli adolescenti stanno male, anche dopo essere diventati adulti, i genitori sono coppie strane, che questi ragazzi difficili hanno anche la strana responsabilità di tenere insieme, mantenendo i segreti e gli equilibri fragili in cui si trovano coinvolti.  Come racconta lo stesso Ammaniti in un'intervista: "C'è una verità personale e una verità sociale. Le due cose raramente coincidono. Sono entrambe da difendere».
written by: Malfido time 09:54 | link | commenti
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martedì, 02 novembre 2010

Don Luigi Ciotti su Pablo Neruda

ginestraSeguiteranno a viaggiare
tra gli astri oggetti metallici
con dentro uomini stanchi,
violenteranno la luna
aprendovi farmacie.
E’ il tempo dell’uva piena
e il vino comincia a vivere
tra le montagne e il mare.

[...]
Non voglio cambiare pianeta.

da: Il pigro

Pablo Neruda è stato un maestro in questo con il suo trasformare la poesia in esercizio di libertà e di uguaglianza, nel parlare di utopia non nel suo significato di nessun luogo ma di un luogo altro in cui è possibile il cambiamento. In questa prospettiva l’utopia diventa pratica, concretezza, quotidianità che vale la pena realizzare perché ciascuno di noi possa credere che è possibile cambiare, inseguire la speranza, realizzare se stessi, crescere, vivere nel pieno senso della parola. Non pensare alla fuga come alla soluzione ideale per i propri problemi, ma nutrire il sogno di un futuro nuovo, praticabile, percorribile e realizzabile. L’utopia non come fuga o illusione ma, più profondamente, come tensione perché la nostra realtà possa essere immaginata diversamente. E in tempi come i nostri in cui l’immagine, il potere, il possesso, la forza, il denaro, sembrano essere diventati gli unici valori di riferimento, dà una bella ventata di energia leggere queste poesie e leggervi questa voglia di altro. Di un teatro della vita in cui poter respirare a pieni polmoni e far respirare il cervello. Abbiamo tutti bisogno di aria, di respirare. Senza togliere nulla alla fatica di una deprivazione materiale, fatemelo dire, la deprivazione culturale miete, se non di più, altrettante vittime. Quando lo stupore per le persone non ci raggiunge più, quando viviamo sotto una cappa, assaliti da un ronzare di parole vuote, il respiro viene a mancare. Questi giovani ci dicono altro. Ci dicono il loro bisogno, ma anche la loro capacità, di guardare con altri occhi. Di saldare le parole alla vita. Di riempirle. Di sentire il profumo delle cose. Il profumo del legno. Mi viene in mente un amico, un artista, che ha vissuto e vive la strada e che è un maestro nel lavorare il legno. Quando è stato ospite in una nostra Comunità, ma lui preferiva occupare i vecchi castelli abbandonati, ogni tanto verso sera mi prendeva e mi portava sul prato davanti a casa dove aveva tutti i suoi attrezzi. Non gli piaceva lavorare all’interno, fra quattro mura, e mi insegnava, anche se sosteneva di non saper insegnare, che per lavorare il legno ci vuole silenzio e che bisogna respirarlo a pieni polmoni l’odore del legno tagliato.
written by: Malfido time 11:37 | link | commenti
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venerdì, 29 ottobre 2010

Il prossimo

stelle1
Non amo avere il prossimo vicino:
Se ne vada lontano e sulle alture!
Come, altrimenti, diverrebbe la mia stella?-


F. Nietzsche, cit.
written by: Malfido time 09:52 | link | commenti (2)
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mercoledì, 27 ottobre 2010

Egoismo di stelle

 
Stelle
Se non ruotassi, io, botte rotonda,
Perpetuamente intorno a me stessa,
Come resisterei a questa corsa
Dietro il sole infuocato, senz’ardere?


Friedrich Nietzsche, La gaia scienza 
martedì, 26 ottobre 2010

Escluso il cane

rinocane
Sistemando le varie foto della mia famiglia con i cani, mi sono ricordata del simpatico cane da caccia bianco e marrone amico di Rino Gaetano. Siccome Rino in questi giorni avrebbe compiuto sessant'anni, approfitto dello spunto che un'associazione d'idee mi offre per ricantare una delle sue canzoni che io preferisco:
 
Chi mi dice ti amo
chi mi dice ti amo
ma togli il cane
escluso il cane
tutti gli altri son cattivi
pressoché poco disponibili
miscredenti e ortodossi
di aforismi perduti nel nulla
chi mi dice ti amo
chi mi dice ti amo
se togli il cane
escluso il cane
non rimane che gente assurda
con le loro facili soluzioni
nei loro occhi c'è un cannone
e un elisir di riflessione
e tu non torni qui da me
perché non torni più da me
Chi mi dice ti amo
chi mi dice ti amo
ma togli il cane
escluso il cane
paranoia e dispersione
inerzia grigia e films d'azione
allestite anche le unioni
dalle ditte di canzoni
e tu non torni qui da me
perché non torni più da me

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