martedì 10 gennaio 2012

mercoledì, 12 gennaio 2011

One, two, trees

vailetti locandinaL’articolo della pagina culturale de La Stampa di oggi informa che il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite l’anno internazionale delle foreste. Io, che sono piccola e faccio rima con Amazzonia, come mi diceva sempre il mio compagno delle medie, lo celebrerò citando gli alberi intorno ai castelli dove Rilke si ritirava a scrivere, ricordando gli alberi antropomorfi di Brecht, la sensibilità di Antonia Pozzi per i pioppi della Lombardia, o i pensieri di Erri De Luca davanti ad un albero sospeso sull’abisso, d’andare a visitare una volta l’anno. Potrò mettere nel frattempo un olio di Giuseppe, Benito o Santino Vailetti, un cipresso di Klimt, o una betulla che è una delle sue famose tele quadrate, o i nespoli di Cagnes di Renoir, che ho visto dal vero alla fondazione Mazzotta appena tornata dall’Erasmus. E mi rimarrebbero ancora tutto Van Gogh e la pittura en plain air.

A dirla tutta credo di aver anche fotografato ogni singolo albero del mio paese, dal paese alla campagna e lungo il fiume. In Sardegna mi hanno esaltato gli eucalipti, perché avevo l’utopia di veder scendere un koala, e mi hanno commosso gli alberi di sughero che mi hanno ricordato le gambe di mia nonna, che, come tutte le signore di una volta, portava calze lunghe fin sopra il ginocchio, con un elastico molle, chiare sopra una pelle quasi trasparente.  
In ogni caso, l’articolo de La Stampa di oggi era incentrato sull’idea di perdersi nel bosco o di uscirne. Solitamente si dice che nelle fiabe della tradizione il bosco è l’immagine dell’inconscio, anche dell’andare verso se stesso rischiando l’incontro con se stesso (ne sapeva qualcosa Narciso che si avvicinò alla fonte che gli si offrì all’improvviso e annegò dentro la propria immagine riflessa).

Quello a cui non pensavo da tempo era invece il principio di Cartesio, che consiglia di uscire dal bosco scegliendo una direzione e proseguendo in linea retta. In effetti i due assi perpendicolari che ci siamo abituati a disegnare sulla carta millimetrata sono una perfetta simulazione della realtà, sono un orientamento infallibile.
Quando mi sembrerà di non trovare altri spunti, cercherò un amico giardiniere, perché ce l’ho e ha anche una bella moglie che ne sa quanto lui.

In fin dai conti, come ricorda la giornalista, in qualunque cultura l’albero è uno dei più grandi simboli della vita. 
 
venerdì, 07 gennaio 2011

Coetanei: Oblomov

Copia di RSCN2467Finalmente abbiamo la stessa età di Oblomov, l'eroica figura di trentenne che vive in vestaglia, sdraiato sul divano, temendo l'umidità e il freddo da fuori.

Il suo nome è diventato sinonimo di una sindrome, aggiungendo un po’ di umorismo alla più totale indolenza, ma ce ne fossero di Oblomov, dico io.

Ho divorato questo lungo romanzo nella primavera del 2002, dopo che Cristiano me lo ha descritto come uno dei suoi libri-culto. Ho letto ridendo, commuovendomi e pensando che molte delle persone che mi piace incontrare hanno qualcosa di lui, di Il’ja Il’ič.
 
Di quando in quando, un ‘espressione che si sarebbe detta di stanchezza o di noia gli offuscava lo sguardo; ma la stanchezza o la noia non potevano offuscare nemmeno per un momento la mitezza, che era la caratteristica essenziale e dominante non solo del volto, ma di tutta l’anima; e l’anima risplendeva aperta e chiara negli occhi, nel sorriso, in ogni movimento della testa o della mano. Un osservatore distaccato e superficiale, dopo una rapida occhiata a Oblomov, avrebbe potuto dire: “Deve essere un tipo semplice e di buona pasta!”. Ma un osservatore più acuto e partecipe, che lo avesse osservato a lungo, si sarebbe forse allontanato sorridendo, immerso in gradevoli meditazioni. P.5
 
Oblomov ama dormire e pensare, immagina di essere un artista, di compiere atti di magnanimità, di vivere dentro paradisi naturali, mentre non sa amministrare ciò che gli rimane e si lascia raggirare per fastidio e distrazione. Eppure, a modo suo, ha idee perfettamente chiare sulla società e sull’uomo, ha per gli altri tormentose cure, e si lascia cambiare dall’amore.

Molti lo considerano uno svogliato, un indolente, e nulla sanno del perché dei suoi sospiri, del suo vulcanico lavoro interiore, e del suo cuore generoso.

Nell’anno dei nostri trentadue-trentatrè anni, torneremo a fargli visita, come vecchi compagni di classe. Vogliamo punzecchiarlo, perché tiri fuori ciò che ha dentro, insieme a Ol’ga, l’amata, o a Stolz, l’amico, oppure origlieremo qualche sua conversazione, come fa talvolta Zachar, il suo fedele servitore. 
giovedì, 06 gennaio 2011

Vita liquida


gabbiano_corso
Anni fa, attraverso il mio gruppo di volontariato, ho conosciuto Antonio Marchitelli, ambientalista, fotografo e birdwatcher, che ha dedicato alla tutela della lanca di Soltarico una mostra, una raccolta fotografica e un diaporama di altissimo profilo.Immaginate la commozione di una bambina davanti a bellissimi uccelli, farfalle, conigli selvatici, rane e insetti, cespugli, pesci, selvaggina, alberi e fiori.
E aggiungete la soddisfazione di constatare quanto la propria terra sia ospitale, perchè la natura sa esserlo lì dove magari le persone hanno smesso da tempo.
Seguire un fiume significa a tutti gli effetti entrare nel territorio, perchè il fiume segue l'andamento del terreno senza eccezioni, non può fare altrimenti
[...]
Siamo abituati a pensare natura e percezione umana appartenenti a due regni distinti: in realtà sono inscindibili. Prima di essere riposo dei sensi, il paesaggio è opera della mente. Un panorama è formato da stratificazioni della memoria almeno quanto da sedimentazioni di rocce. Le immagini servono a custodire la memoria, ma anche a ripristinare un ordine nelle idee, a mostrarci qualcosa che esiste nella realtà, qualcosa di una bellezza e di un'intensità che ci sfugge ma che è essenziale perchè quel mondo di luoghi" che è la natura non è un luogo da visitare, ma è casa nostra.

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www 
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Forme d'acqua, d'aria e di terra

nikon07 2037Ho seguito il tema del momento e ieri ho guardato un documentario francese sulle migrazioni degli uccelli. La parte che mi ha colpito di più riguarda l'emigrazione verso nord, quella che precede primavera, che porta oche, anatre, cigni selvatici e stormi di piccoli uccelli a tornare nel posto dove sono nati, perchè solo lì la natura dice loro di nidificare.
Quattro anni di riprese ci mostrano lo straordinario sistema di riferimenti che questi animali hanno per compiere, due volte l'anno, il medesimo tragitto, alternandosi a guidare il gruppo: il sole, gli astri, persino, talvolta, la luna e gli odori.
E poi le lunghe autostrade del loro spostamento sono i fiumi. Volare sopra di loro è una garanzia di non perdere la direzione.
[Un giorno devo incontrare un regista di documentari sugli animali per chiedergli perchè debba per forza mostrarci la morte di alcuni degli individui che ci hanno appena spiegato -nel caso degli uccelli è proprio il verbo giusto- la vita.
Non si tratta solo del fatto che nel cartone animato di Bambi la morte della mamma è un'ingiustizia, e non esiste un bambino che sia riuscito a guardarlo senza disperarsi.
Il documentario mostra come la straordinaria forza e velocità delle anatre in volo nulla possa contro la precisione di un fucile da caccia, come avere un'ala rotta, o una zampa incastrata significhi essere predati sul luogo del proprio incidente.

Non posso guardare un animale ferito e indifeso che vede la morte arrivare sottoforma di 15 esemplari affamati di un'altra specie, che devono solo decidere, in base alle loro interne gerarchie, chi sarà il primo a dare l'attacco.
Ricordo l'insopportabile immagine, una volta, di un elefantino persosi durante una tempesta di sabbia, che, avvolto da una follia malinconica si avviava a caso, di corsa, ciondolando il capo, attraverso il deserto, per ritrovare i suoi.Troppo crudele. Quentin Tarantino è molto meno crudele di certi registi di documentari naturalistici.] 
mercoledì, 05 gennaio 2011

Fiumi e miti

narciso_caravaggio1That story of Narcissus […]
because he could not grasp the tormenting, mild image he saw in the fountain [he] plunged into it and was drowned. But the same image, we ourselves see in all rivers and oceans. It is the image of the ungraspable phantom of life; and this is the key to it all.

Moby Dick, primo capitolo

Brecht sull'Adda

nikon07 2035Per quante volte tu guardi il fiume, che pigro scorre, non vedi mai la stessa acqua.

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