mercoledì 11 gennaio 2012

martedì, 03 agosto 2010

RETTE PARALLELE

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Sempre a proposito di geometria e dei discorsi di ieri, continuiamo a rivolgerci al collega filosofo Giuseppe Ferraro e, in particolare, al suo saggio L’acqua, il mondo e l’animo. Se la geometria è la scienza che studia i punti nello spazio e le figure da essi generate, la filosofia è la sola espressione di sapere che ha un sentimento nella sua denominazione
Qualcuno suggerì che due rette parallele non s’incontrano mai, perché è una sola la retta, riflessa nel suo doppio come in uno specchio. Le due rette parallele sono una sola retta. Anche noi non ci incontriamo mai e corriamo in parallelo con quel che ci rappresentiamo.
Ognuno è un altro in mezzo agli altri. C’è come un sentimento del mondo di cui noi stessi siamo le emozioni. E il mondo sarà sereno o gioioso, avrà nostalgia o speranza, sarà in attesa o avrà fiducia. Sarà incantato o avrà paura. Sarà diviso o condiviso. Spetta a noi essere i dati di questo sentimento più grande, chiedendoci ogni volta dello stato d’animo del mondo.
written by: Malfido time 13:05 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
lunedì, 02 agosto 2010

Da A ad A

viola
Ogni tanto, anche d’estate, porto la medaglietta che l’Avis mi ha regalato per festeggiare la venticinquesima donazione, perché dentro la lettera A è stillata una goccia di sangue, simbolo del dono, ma anche, secondo me, del non poter fare altrimenti. Bisogna avere impeto, quando ci vuole.
Il mio nome comincia per A, perciò porto anche la mia iniziale, vanitosamente, in un cerchiolino blu.
La prima lettera dell’alfabeto è l’emblema di qualunque inizio, è la gioia, la necessità, di avviarsi.
A me piace iniziare le cose da capo- sto parlando di intraprendere qualcosa, non di comandare, affosso l’eventuale gioco di parole perché io ordino solo al bar o al ristorante-.
E’ bello osservare la faccia di chi ti conosce da un’ora, e allontanarsi a fare mentalmente una lista di dettagli salienti- quasi fosse la sceneggiatura di un film di Nanni Moretti.
Da A ad A è un album di Morgan pieno di disegni, fotografie, calligrafie infantili e adulte, e qualche pezzo di spartito.
Da A ad A, il brano, segue l’ormai famosa Amore Assurdo, e descrive i due punti di un’oscillazione.
Potrebbe esserci confusione, perché due luoghi determinati, per lo meno in geometria, non possono chiamarsi nello stesso modo. Un esercizio del genere, di solito, a scuola, partiva ipotizzando due punti distinti, con due nomi diversi, che poi, alla fine dello svolgimento, risultavano coincidenti.
Chi non era affascinato, studiando in algebra i numeri relativi, poi, dalla nozione di valore assoluto, per la quale due numeri, opposti di segno, sono, in fin dei conti, equivalenti?
Traslando questo tema sul piano dei concetti si ottengono irriducibili antitesi. Come Volevasi Dimostrare.
Penso che la canzone di Morgan sia tutto questo. In una sorta di assurdo strutturale ribadito dal titolo-refrain, racconta che proprio l’uguale rende vario, anzi, tanto più vario quanto più uguale.
Avviene specialmente ogni volta che il punto di partenza coincide col punto d’arrivo: spesso un moto si origina da un contrasto e termina, regolarmente, con una convergenza.

Dottoressa Zingarelli 15: la domanda

schiele haus
Nei libri di filosofia, o di filosofi, qualunque sia l’argomento, si riflette spesso sulla natura del linguaggio, sul senso delle parole, al di là della loro più accreditata etimologia. Giuseppe Ferraro, che ha riportato in un libro le sue esperienze di educatore dei sentimenti in scuole di Napoli di vario ordine e grado, nota che la parola domanda non c’entra solo col verbo latino mittere, mandare, ma anche con domus, casa. Domandare vuol dire dare dimora: una risposta deve accogliere una domanda, non esaurirla o negarla. Una casa si costruisce. Anche un significato. Si chiede di ciò che si sostiene.
written by: Malfido time 18:15 | link | commenti
sections: 02-cose, 06-paesi, 14- letteratura arte opinioni

Prospettive

AdamEve

Essere amati, è passare. Amare, è durare.
Gustav Klimt, Adamo ed Eva
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laudris Brigge
E’ abbastanza curioso che Klimt abbia scelto Adamo ed Eva come emblema dell’amore di coppia, visto che i nostri progenitori hanno avuto qualche difficoltà nel menage matrimoniale, prima palleggiandosi la responsabilità sul peccato originale e poi assistendo all’irredimibile rivalità dei due figli maschi, questione finita, pure questa, come tutti sappiamo.
Le due figure nel quadro di Klimt hanno un po’ la stessa posa dei personaggi de “Il bacio”.
Tra il femminile ed il maschile c’è una certa diversità, anche secondo Klimt: nel suo quadro divenuto il più famoso, “Il bacio”, egli simbolicamente rendeva il profondo femminile attraverso dei cerchi piccoli e colorati, sospesi come un  bouquet di fiori o delle bolle d’acqua dipinta dentro un vetro di Murano, e l’intimo maschile tramite figure più grandi e marcate, bianche e nere, rettangolari, stagliate nettamente su uno sfondo giallo.
Quello di Adamo ed Eva è stato forse il matrimonio più breve della storia, ma allora non era molto facile separarsi (anche perché il “restar da soli” non era propriamente un modo di dire).
Sabato scorso, dall’ultima pagine di un settimanale, Umberto Galimberti rispondeva in merito all’abbandono della famiglia per effetto di una passione travolgente.
Non entrando, naturalmente, nel merito di una scelta che è soltanto soggettiva, lo studioso scrittore rifletteva su che senso abbia subire gli estri del desiderio. Tanto vale mantenere una presa sul reale, o no?!?
Risolvere l’amore in passione è una concezione sempre più diffusa. Resta da chiedersi che cosa c’entri la passione, per sua natura passeggera, con la felicità, che, aggiungo umilmente io, è un obiettivo al quale tendere costantemente più che un qualcosa da possedere.
“In questo tipo di cultura, dove tutto è intercambiabile, diventano sempre più difficili le scelte irreversibili, anche se, a furia di revocare le proprie scelte, difficilmente si costruisce una biografia, in cui potersi riconoscere come soggetti di vita e non semplici oggetti di passione. Se è vero infatti che la felicità non ignora la passione e forse neppure la sregolatezza, è altrettanto vero che non si accontenta di una gioia passiva, perché la felicità vuole creare. E allora perché non dire che il matrimonio dovrebbe essere consentito solo ai creatori? ”
Forse Adamo ed Eva erano ancora troppo inconsapevoli, appena giunti nel creato, di che cosa voglia dire vivere, e di quale fosse la pena per chi rifiuta di fare le scelte, e si limita a lasciar andare le cose come vanno, andando incontro all’inquietudine.
written by: Malfido time 00:02 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
sabato, 31 luglio 2010

In un colore eterno d’estate

3etàdelladonna
Solo l' amare, solo il conoscere conta,
non l' aver amato, non l' aver conosciuto.
Dà angoscia il vivere di un consumato
amore. L' anima non cresce più.

La quadrata tela di Klimt sulle tre età della donna e i primi versi de “Il pianto della scavatrice” hanno in comune soltanto Roma, la città in cui risiedono. Li divide una cinquantina d’anni e un’infinità di altre cose. Però "Il pianto della scavatrice" è la più estiva poesia pasoliniana ed io d’estate mi diverto a fare descrizioni. “Descrizioni di descrizioni” è il volume che raccoglie le recensioni scritte per vari quotidiani da Pasolini tra il novembre 1972 e il gennaio 1975, che sto leggendo in prestito dalla biblioteca.  Va da sè che tra tutti gli insegnamenti di questo straordinario uomo di pensiero,  quello contenuto nell'attacco della poesia sulla Roma di metà anni '50 è il primo a cui penso. Spesso.
venerdì, 30 luglio 2010

Ogni giorno un altro giorno da contare

spank3 
Mi piacciono gli incontri, i rapporti, soprattutto nel loro andare avanti. Nel tempo. Frequentare gli amici, e anche i loro amici, secondo il caso e l’opportunità, valorizzando le abitudini, le cose in comune, la comodità. Anche mettersi reciprocamente a proprio agio, assecondarsi, mentre si va avanti a conoscersi, magari da dieci, da vent’anni, è una forma di cura.
Non si forza nulla. Propongo spesso ad altri di fare con me le cose che mi piacciono, ma non insisterei mai. Non invado il tempo degli altri, è una forma di maleducazione che non ho mai tollerato, la sensazione che si possano impiegare le persone per passare il proprio tempo. Il tempo passa e ci passa attraverso. Si vive.
In tutto questo, uno degli aspetti migliori è osservare la gente modificare una serie di piccole cose, lentamente, una dopo l’altra. Una persona dopo un po’ cambia aspetto, integra idee, punti di vista, spazi di interesse diversi, magari modifica anche un po’ il proprio linguaggio, altra sicura spia dell’attuale stato d’animo e della visione della realtà.
A me piace nelle persone ravvisare piccoli cambiamenti, prima impercettibili, perché questo è meglio di un romanzo, di una serie a puntate, o di un film. Ha valore rispecchiarmi nella naturale evoluzione delle persone, che non è mai casuale o slegata dai bisogni che uno ha o ha imparato a riconoscere. Nove volte su dieci si cambia per migliorare. Poi si cerca la pazienza di accompagnare questo cambiamento, di svilupparlo, e di accettarlo così com’è.
L’altro aspetto che fa si che i rapporti, in termini di dinamica, valgano sempre la pena, è l’opportunità di sorvegliare, dentro se stessi, la naturale inclinazione ad applicare degli schemi.
Quando si affronta una situazione c’è una parte della nostra testa che non fa altro che confrontarla con le esperienze precedenti, con le maniere in cui conosciamo che le cose avvengono, e in cui sappiamo che le persone si comportano. E’ certamente una parte della nostra strategia di adattamento e di esperienza.
Lo stesso sembra che accada con le persone. Rileviamo negli altri alcune caratteristiche, probabilmente quelle che appartengono anche a noi, perché le riconosciamo prima, e, in base agli altri elementi che acquisiamo, di volta in volta, il quadro si sviluppa.
Difficile non farsi idee, non avere proiezioni, o, magari, non applicare uno schema che, in base alla casistica delle esperienze fatte, riconduca i tipi umani, e i loro modi di agire, ad un certo numero finito di casi già noti.
Alcuni potrebbero dire che chi applica costantemente i propri schemi sugli altri è una persona più attenta ai modelli che alla realtà in quanto tale, e che dunque questa dinamica svuota i rapporti umani di autenticità, forse addirittura di senso. Però è utile rendersi conto che la mente lavora sempre in base a ipotesi e presupposti. La cosa più interessante è appunto giocarseli tutti.
Più le persone ci interessano, meno sentiamo, almeno consapevolmente, di fare ricorso a questi schemi. Se sono a mio agio, non ho nulla da chiedere o da dimostrare, lascio che gli avvenimenti facciano il loro corso, e sto a guardare.
Conoscere gli altri nel tempo, osservarli, provare a capirli, è qualcosa che ci educa. E’ una forma di raffinamento personale. Mi rendo conto che i miei presupposti spesso saltano, che il mio variegato catalogo di tipi umani comunque non è mai completo, e allargo la mia prospettiva sulla realtà. E’ come se potessi vedere meglio, fare un respiro più profondo.
La soddisfazione più bella, a questo punto, è rendermi conto che ogni persona, io, gli altri, è semplicemente ciò che è, e che questo è irriducibile e sorprendente. Si può andare d’accordo, condividere una certa fiducia nel presente, come all’inizio di una partita, o di una gita.

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