mercoledì 11 gennaio 2012

giovedì, 09 settembre 2010

Spider-Man

pioppi1Essendo della zona, mi piacciono tutte le descrizioni nelle quali ci sia spazio per le strade di là da Milano.
Nel passaggio sotto Antonio Dorigo sta percorrendo la Via Emilia, una mattina presto, su una spider rossa, che si è fatto prestare con la promessa di esser di ritorno la sera. Deve andare a prendere la Laide a Modena, senza preavviso, e riprendere a fingersi suo zio, continuando a sospettarne il perchè.
Pare che prima di quel momento non abbia mai notato le cose di cui è fatto il mondo, come espresso da questo lungo articolato passaggio, così lucidamente patetico. Colpa, o merito, dell'amore, che affina tutti i sensi, e libera nascoste energie. Immaginiamo Dorigo parlarsi da solo, in macchina, o rivolgere frasi all'immagine di Laide che porta con sè. A me piace da matti il ritmo di questo brano, vorticoso, trovo molto azzeccata e divertente la parte sulle turiste americane.
pp.110-114
Allora, egli all’improvviso capì il senso di quel naturale incantesimo. Che cosa infatti volevano dirgli i filari di pioppi all’orizzonte che vanno vanno in corteo e sembrano sfuggirlo e nello stesso tempo corrergli incontro, per poi allontanarsi alle sue spalle, nella nebbia, consumati, mentre nuove schiere appaiono dinnanzi, inesauribili precipitandosi su di lui?
Di colpo egli capì ciò che dicevano, capì il significato del mondo visibile allorchè esso ci fa restare stupefatti e diciamo “che bello” e qualcosa di grande entra nell’animo nostro. Tutta la vita era vissuto senza sospettarne la causa. Tante volte era rimasto in ammirazione dinanzi a un paesaggio, a un monumento, a una piazza, a uno scorcio di strada, a un giardino, a un interno di chiesa, a una rupe, a un viottolo, a un deserto. Solo adesso, finalmente, si rendeva conto del segreto.
Un segreto molto semplice: l’amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore.
Quanto era stato stupido a non essersene accorto finora. Che interesse avrebbe una scogliera, una foresta, un rudere, se non vi fosse implicata una attesa? E attesa di che se non di lei, della creatura che ci potrebbe fare felici? Che senso avrebbe la valle romantica tutta rupi e scorci misteriosi se il pensiero non potesse condurci lei in una passeggiata del tramonto tra flebili richiami di uccelli?
Che senso la muraglia degli antichi faraoni se nell’ombra dello speco non potessimo fantasticare di un incontro? E l’angolo del borgo fiammingo che ci potrebbe importare, o il caffè del boulevard o il suk di Damasco se non si potesse supporre che anche lei un giorno vi passerà, impigliandovi un lembo di vita? E l’erma cappelletta al bivio col suo lumino perché avrebbe tanto patos se non vi fosse nascosta un’allusione? E a che cosa allusione se non a lei, alla creatura che ci potrebbe fare felici?
Pensò alla finestra solitaria illuminata nella sera d’inverno, alla spiaggia sotto le rocce bianche nella gloria del sole, al vicolo inquietante e sghembo nel cuore della vecchia città, alle terrazze del grand hotel nella notte di gala, ai fienili, al lume della luna, pensò alle piste di neve nel mezzogiorno di aprile, alla scia del candido transatlantico illuminato a festa, ai cimiteri di montagna, alle biblioteche, ai caminetti accesi, ai palcoscenici dei teatri deserti, al Natale, al barlume dell’alba. Dovunque c’era nascosto il pensiero inconfessato di lei, anche se non sapevamo neppure chi fosse.
Quanto meschina sarebbe, di fronte a un grande spettacolo della natura, la nostra esaltazione spirituale se riguardasse soltanto noi e non potesse espandersi verso un’altra creatura.
Perfino le montagne che egli aveva intensamente amato, le nude scabre inospitali rupi in apparenza così antitetiche alle cose d’amore adesso assumevano un senso diverso. La sfida alla natura selvaggia? Il superamento dell’io? La conquista dell’abisso? L’orgoglio della vetta? Che spaventosa cretineria sarebbe, se consistesse solo in questo. Difficoltà e pericoli diventerebbero ridicolmente gratuiti. A lungo egli aveva meditato al problema senza riuscire a risolverlo. Adesso sì. Nell’amore per le montagne si annidava clandestinamente un altro impulso dell’animo.
Se quando era ragazzo qualcuno glielo avesse detto, e lui avesse potuto capire, ciononostante avrebbe sempre detto di no, che non era vero, per una forma di pudore. Così anche gli altri diranno di no, che è un’idiozia, che è retorica, romanticismo fuori tempo. Eppure, interrogati, non sapranno indicare altrimenti perchè li commuove la burrasca marina o l’arco diroccato dei Cesari o la dondolante lanterna nel vicolo dei bassifondi. Mai confesseranno che in quelle scene c’è anche per loro il richiamo a un sogno di amore, nonostante il disgusto che una simile espressione possa dare.
[…]
Gli vengono pure in mente le carovane delle miagolanti befane venute dall’America che scendono dai pullman dinanzi ai musei e alle cattedrali. Forse che anche le sciagurate, nel girovagare da un paese all’altro, inseguono quel presentimento d’amore? Esattamente così, compatitele. Pure in quei ruderi standard pieni di salute resiste ancora, a loro insaputa, il richiamo; hanno sessanta, settanta, ottant’anni, sono donne morigerate e rispettabili, impazzirebbero di vergogna se potessero sapere ciò che le trascina su e giù per il mondo. Eppure se nei viaggi non ci fosse quel barlume romanzesco e inverosimile, mai si  muoverebbero di casa. Il vagabondare di frontiera in frontiera, di albergo in albergo, diventerebbe un supplizio.
[…]
Era una intuizione così bella e geniale che in altre circostanze egli ne avrebbe avuto soddisfazione. Ma, proprio per la sua esattezza, oggi a lui procurava solamente dolore. L’espressione degli alberi fuggenti corrispondeva infatti alla condizione del suo amore; il quale era stolto e disperato. Egli correva in direzione di lei benché sapesse che laggiù lo aspettavano soltanto nuovi affanni, umiliazioni e lacrime. Ma lui correva a perdifiato ugualmente, il piede premuto con tutta la forza sul pedale, per la paura di perdere un minuto.
I pioppi della pianura, spostandosi processionalmente, a schiena curva, sembrava gli dicessero: fermati, uomo, fa’ dietro front, non pensare più a lei e seguici, non correre alla tua rovina.
[…]
Era così persuasivo il loro discorso che a un tratto egli fu preso da un turbamento interiore, si spostò sulla destra e si è fermato. Ma nello stesso istante si è fermato anche tutto il paesaggio intorno a perdita d’occhio e a lui dinanzi, in fondo alla deserta pista d’asfalto, il crocchio degli alberi rimane compatto e immobile né si scioglie più sgranandosi da una parte e dall’altra, i pioppi non fuggono più, non gli dicono più fermati, non osano più dirgli niente perché capiscono che non c’è nulla da fare, gli alberi gli dicono sì è vero, laggiù in fondo, al sud, dove la strada finisce, c’è lei che aspetta per farti dannare, ma non importa, tanto!
Tanto, il sole è già alto, e noi non ti possiamo salvare.
mercoledì, 08 settembre 2010

Innamorarsi a Milano

duomo01Il romanzo più coraggioso di Dino Buzzati è “Un amore”, del 1963. C’è Antonio Dorigo, un architetto di Milano, che aspetta 45 anni, prima di innamorarsi – l’attesa, nei libri di Buzzati, mi pare abbia sempre un certo peso. Si innamora di Laide, una giovane ballerina, e cerca di scendere a compromessi col tempo: la cerca, la rincorre, mentendosi probabilmente abbastanza spesso. Non dorme la notte, invecchia d’un colpo, la serve in tutto. Il lettore li segue fino all’imbarazzo, nella verosimiglianza di ciò che accade.
L’introduzione della Mondadori non dà grosso peso alle ambientazioni milanesi: il retropalco della Scala, i cortili, i grattacieli, il centro, le scappate fuori città. Eppure lei, la Laide, ingenua, perfida, brigante, egoista e sfrontata, è spesso, pur essendo piuttosto giovane, moralmente stanca e cinica come la bella Milano.  
Laide uscì dal bagno in sottoveste. Lo salutò sorridendo. “Ciao, tesoro.”
Quel “tesoro” gli diede fastidio. Ma l’incontro con la Laide gli aveva lasciato uno strano turbamento. Forse anche per il ricordo della tipa incontrata in corso Garibaldi. Come se qualcosa lo avesse toccato dentro. Come se quella ragazza fosse diversa dalle solite. Come se tra loro due dovessero succedere molte altre cose. Come se lui ne fosse uscito differente. Come se Laide incarnasse nel modo più perfetto e intenso il mondo avventuroso e proibito. Come se ci fosse stata una predestinazione. Come quando uno, senza alcun particolare sintomo, ha la sensazione di stare per ammalarsi, ma non sa di che cosa, né il motivo. Come quando si ode dabbasso il cigolio del cancello e la casa è immensa, ci abitano centinaia di famiglie e all’ingresso è un continuo andirivieni eppure all’improvviso si sa che ad aprire il cancello è stata una persona la quale viene a cercarci.
p.37
sabato, 04 settembre 2010

La prima estate sul lago Walden

Copia di nikon07 400Nessun metodo e nessuna disciplina possono sostituire la necessità di stare sempre sul chi vive. Cos'è un corso di storia, o filosofia, o poesia, per quanto esso sia ben scelto, o cosa sono la migliore compagnia o la più ammirevole pratica di vita, di fronte alla disciplina di guardare sempre ciò che deve essere veduto?
Non lessi libri, la prima estate, zappai fagioli. Non solo: spesso facevo di meglio. A volte non potevo permettermi di sacrificare a nessun lavoro, sia mentale che materiale, il fiore del momento presente. Amo che vi sia un largo margine di respiro, nella mia vita.
Henry David Thoreau, Walden o Vita nei boschi
mercoledì, 01 settembre 2010

Sailors of the world, bounded for all ports

imagesCAM22LHO
Come, my friends
‘Tis not too late to seek a newer world
… for my purpose holds
To sail beyond the sunset.
And though
We are not now that strength which in old days
Moved earth and heaven…
That which we are, we are
One equal temper of heroic hearts
Made weak by time and fate, but strong in will
To strive, to seek, to find and not to yeld.

Questo è Ulisse, secondo il romantico e nobile Alfred Tennyson.
I versi hanno ispirato un calcio al pallone nella sequenza che culmina con "L'inno alla gioia" di Beethoven ne "L'attimo fuggente".
Alcuni, chissà perchè, non si sono accorti che questo film è tutto dedicato ai ragazzi. 
L'immagine della Sicilia e del suo mare è per augurare sempre il meglio ad un amico in particolare, che sicuramente sa far ascoltare Beethoven agli alunni, e che non si tirerebbe indietro, se ci fosse da giocare una partitella.


written by: Malfido time 23:07 | link | commenti (5)
sections: 14- letteratura arte opinioni

Un pensiero di Emil Cioran

topolino 
A fruitful conversation springs only from minds absorbed in reinforcing their own confusion.
Mi scuso perchè è tradotta, ma l'ho trovata così. Se qualcuno la conosce in originale la scriva, perchè so che in italiano per confusion si mette perplessità, ed è abbastanza diverso. La scelgo per riprendere brevemente le fila dei ratadiscorsi, sempre sull'onda degli aforismi, in un passaggio di semi latitanza, dovuta alla coltivazione di altri impegni. Statemi bene.
written by: Malfido time 22:52 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
sabato, 14 agosto 2010

Auf Wiedersehen

conchiglie

IN OGNI CONCHIGLIA
C'E' IL BUIO DEL MARE

Alda Merini, Aforismi e magie

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