mercoledì 11 gennaio 2012

lunedì, 05 luglio 2010

Superficialità

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Per formazione, e forse anche per natura, ho la vocazione ad andare in profondità, secondo il ben noto principio del conosci te stesso e dell’accettazione della complessità.
Per questo la fantastica frase “Conosci te stesso? Sì, di vista…” è una sorta di viatico! [ di Rokko Smitherson o del Maestro Brunello Robertetti,  non ricordo, mi rincresce… che verbo metaforico ]
Nonostante questo riconosco, a volte, il valore della superficialità, per quanto mi arresti davvero raramente (arrestarsi è un’azione perversa, ma quanta psicanalisi c’è nell’italiano corrente?!?) alla superficie delle cose. Bisogna viversi in modo plurale, dialetticamente (ma non troppo, s’intende, non tutto è relativo, non cediamo agli assoluti).
Ci chiediamo dunque alle 8 di mattina del primo lunedì di luglio: a che cosa serve essere superficiali?
Ci rispondono Nietzsche e Hofmannstahl, per bontà loro, con la consueta genialità, alla quale ci inchiniamo e dalla quale infinitamente attingiamo.
Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali- per profondità.
La gaia scienza
La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie.
Il libro degli amici

venerdì, 02 luglio 2010

Solidarietà e attivismo

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La discussione sul rapporto tra solidarietà e attivismo parte dall’elaborare l’esperienza dell'umana compassione, leopardianamente "unica virtù non usuraia".
Anche noi per incontrare il sofferente dobbiamo incontrare la nostra sofferenza, la sofferenza che è in noi, il sofferente che noi siamo, e averne compassione.
La compassione è la radice della solidarietà perché essa dice: “Tu non sei solo perché la tua sofferenza è, in parte, la mia”.
La solidarietà deve ricordarsi di tutto questo se vuole avere una radice nel cuore dell’uomo, nel suo intimo, ed evitare di ridursi ad attivismo per cui si fanno tante cose per gli altri, ma si fallisce l’incontro con la persona che il bisognoso è, e non si cambia nulla in se stessi.
Il samaritano della parabola evangelica, a differenza del sacerdote e del levita, fa divenire ascolto la visione del ferito.
La compassione non è solamente un sentimento che si impone al cuore dell’uomo, ma diviene scelta, responsabilità. E’ il no radicale all’indifferenza di fronte al male del prossimo. La compassione, facendo della sofferenza una sofferenza per l’altro, spezza l’isolamento in cui l’eccesso di sofferenza rischia di rinchiudere l’uomo.
La compassione è una forma fondamentale dell’incontro con l’altro, un linguaggio umanissimo, perché linguaggio di tutto il corpo, che coinvolge i sensi, la gestualità, la parola, la presenza personale.
Certo, la compassione nasce in chi accetta di lasciarsi ferire e colpire dalla sofferenza dell’altro, sicchè solo chi riconosce la propria vulnerabilità sa aprirsi alla sofferenza altrui.
Solo un io vulnerabile può amare il prossimo.
Cfr. Luciano Manicardi, L’umano soffrire
giovedì, 01 luglio 2010

Elogio della crisi

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Una collega mi ha prestato un libro di Luciano Manicardi dal titolo "L'umano soffrire", dicendomi che io l'avrei capito. Ho messo da parte diversi appunti su aspetti atropologici legati a questo tema, tra cui diversi passaggi che mettono bene in luce il valore e il senso di ogni forma di crisi che l'umano attraversa. Provo a condividere questi contenuti, perchè è un discorso molto aperto.
L’iniziazione accompagna ogni esistenza umana autentica. Per due ragioni: da una parte, perché ogni vita umana autentica implica crisi in profondità, prove, angosce, perdita e riconquista dell’io, “morte e resurrezione”; dall’altra parte perché ogni esistenza, per quanto piena, a un certo momento si rivela un’esistenza fallita… In questi momenti di crisi totale, una sola speranza sembra foriera di salvezza: quella di poter ricominciare la propria vita. Si sogna una nuova esistenza, rigenerata, piena e ricca di significato.
La crisi fa spazio a una visione reale, avviene per evitarci il peggio. Come descrivere cos’è il peggio? Il peggio è aver attraversato la vita senza naufragi, è essere rimasti alla superficie delle cose, aver galleggiato nelle paludi dei “si dice”, delle apparenze, è non essere mai andato a fondo in una dimensione altra e profonda di sé e delle relazioni.
In una società tutta intenta a distogliere la nostra attenzione da ciò che è importante, che non indica cammini per entrare nella profondità, in cui tutto è sbarrato, non vi è che la crisi per far crollare questi muri che ci accerchiano. La crisi appare come un ariete capace di sfondare le porte di queste fortezze in cui noi restiamo rinchiusi, con tutto l’arsenale delle nostre credenze e convinzioni.
La crisi ci spoglia, ci fa andare a fondo, abbatte le immagini manufatte e idealizzate di noi, del mondo e di Dio.
Non sprecate la crisi! Ben gestite, le crisi sono dei doni del cielo. La crisi è disordine, movimento, fluidità, rottura, e proprio per questo essa può sciogliere ciò che era legato, liberare ciò che era imprigionato. Quando insorge una crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiudere le falle che si erano aperte, per riparare ciò che non può essere riparato, per riformare la superficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che vorrebbero salvare. E una volta che la crisi è passata, ecco che le persone, che nel momento dell’anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettano più alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogni privilegio… Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzione alla crisi, non sprecatela. Essa è il vostro tesoro, è la vostra possibilità, è l’avvenire del mondo.
Chi non è mai stato obbligato ad affrontare il calvario di una tale crisi può riuscire, durante la sua vita, a eludere situazioni difficili e critiche, per il terrore di dover affrontare la fatica e la sofferenza dell’elaborazione delle proprie crisi, anche se questo sarà al prezzo di fallire se stesso, di mancare il raggiungimento della propria identità. Del resto, dobbiamo riconoscere che molte persone sono impegnate nel corso dell’intera loro vita a mettere in atto tutte le risorse possibili per passare accanto alla vita, per restare alla sua superficie, per non lasciarsene toccare e ferire più di tanto, per non dover andare a fondo di essa, facendone così una stucchevole estranea. Spesso sono proprio le grandi crisi che ci obbligano a prendere sul serio la vita.
written by: Malfido time 13:42 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
mercoledì, 30 giugno 2010

Rainer Maria Rilke & Lou Andreas Salomé

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Sempre scartabellando gli epistolari dei più grandi scrittori di lingua tedesca della prima metà del ‘900, desta molto interesse, e fa nascere molte più domande che risposte, la già citata liason tra Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomé.
Pochi si confrontano davvero, quando sono innamorati, con l’eventualità che l’innamorato sia prima di tutto la proiezione all’esterno dei propri sentimenti, attraverso una dinamica di rispecchiamenti e contrapposizioni che avvengono specialmente con il proprio io. 
Il poeta alla Madame:
"Ho capito perché dalla nostra vicinanza non è potuto nascere niente di reale: perché lei, o era me con tutte le sue forze e quindi soverchiante, oppure era il mio Contro Io e allora naturalmente un advocatus diaboli, un pallido doppio e costante oppositore, senza fondamento personale. Quanto possa aver sofferto di tutto questo è difficile da scoprire, è comunque stato inutile per ambedue e senza sbocco. Le belle lettere che di quando in quando mi scriveva, erano mie, lettere mie, nel mio stile, oppure non mi scriveva affatto".
Rainer M. Rilke - Lou A. Salomé, Epistolario 1897-1926, Milano, La Tartaruga, 1992, p. 173.
La Signora, in  generale, sul tema dell’amore e della solitudine:
“Solo chi rimane completamente se stesso, si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una presenza di essa.
Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…
Un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza è, dunque, il segno più pertinente e inalienabile di ogni amore in quanto: … non solo nel disprezzo e nell’amore non ricambiato, infatti, ma dappertutto, ovunque dove ci si ama, l’uno sfiora solo l’altro, lasciandolo poi a se stesso. E’ sempre una stella irraggiungibile che noi amiamo e ogni amore è sempre, nella sua profonda essenza, una segreta tragedia. Ma proprio per il fatto di esserlo, riesce ad avere effetti così potentemente produttivi”.
 Lou Andreas Salomé, Riflessioni sull’amore

Signor Keuner

urlo-di-munchQuesto blog è nato per amor di dialettica, il che significa, ad un tempo, combattere dentro di sé ogni tendenza estremista e conservare un margine di riserva, d’ironia, di straniamento.
Siccome in tutto questo Bertolt Brecht è maestro sommo, e siccome al colmo della reciproca stima io ed un amico ci siamo vicendevolmente raccomandati di “non cambiare”, dopo poco ho pensato al Signor Keuner (nome che suona, con una leggerissima inflessione, “Signor Nessuno”), e ho sorriso.
Una persona che, dopo tanto tempo, rivide il Signor Keuner lo salutò dicendo:
"Lei non è per niente cambiato!"
"Oh" rispose il Signor Keuner e impallidì.

martedì, 29 giugno 2010

Indovinello

fiori terza DNon mi ricordo se proviene da un testo o da un articolo di Claudio Magris oppure di Massimo Cacciari. Probabilmente di un terzo uomo che adesso proprio non mi viene… Credo sia un indovinello che in originale è in lingua ebraica.
LA PAURA BUSSA ALLA PORTA, LA FEDE VA AD APRIRE. FUORI NON C’È NESSUNO. MA CHI INSEGNA AD APRIRE?
D’istinto potrei dire che io sono quel genere di persona che va ad aprire.
Ma poi mi vengono in mente tutti quei film nei quali ci si domanda perché diamine il personaggio vada ad aprire, dato che ha il fondato sospetto che fuori c’è qualcuno che vuole fargli del male.
Esistono personaggi che non prendono nemmeno in considerazione di lasciar chiusa la porta e pensare soltanto a scappare. Sono quelli nei quali ci identifichiamo di più.
Parentesi quadra: succede qualcosa di strano anche quando l’assassino è in casa e suona il telefono. Meno male, non è l’assassino che ti giura che tra un paio di minuti sarai morto. E’ qualche rompiscatole. Allora lo liquidi con due frasi di circostanza e riattacchi la cornetta. Non ti è passato per la mente di dirgli di chiamare la polizia…

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