martedì 10 gennaio 2012

mercoledì, 26 gennaio 2011

Che fine hanno fatto gli uomini?

selbstschiele
Nella rubrica delle lettera a Umberto Galimberti, ormai diversi anni fa, almeno sette o otto, una certa signora Stefania di Milano rispondeva alla lettera imbestialita di un certo Signor Bruno di Arezzo, il quale voleva sapere che fine hanno fatto le donne, quelle vere, non le ochette, non le porche, non le sanguisughe o le panterone (la metafora animalista è mia per sintetizzare).
Bene, con spirito provocatorio, la sprezzante signora di Milano rispondeva al confuso e amareggiato signore di Arezzo ribaltando i termini della questione.
Confesso che delle pagine finali della rivista D ho una sorta di database, dal quale attingo oggi per raccontare la fragilità del maschio, dopo aver cercato di porre al microscopio, due giorni fa, quella della femmina.
Stiamo parlando di tipi umani, e qualunque botta e risposta è in stile puramente dialettico.
[...][S]peculare quesito: esistono ancora gli uomini? E in caso affermativo, cosa fanno?

Infatti correlativamente alla presenza di tante figure femminili quali quelle descritte, vi è una corrispondente miriade di maschi i quali non sanno/non vogliono più corteggiare perché hanno perso sia il gusto del rischio, sia soprattutto la capacità di sopportare il "no", ciò nondimeno continuano a rimanere fedeli al vecchio principio in base al quale la donna che spontaneamente si offre è vil cosa.

Il risultato è una parossistica visione consumistico-aziendale delle relazioni in base alla quale è fisiologico e opportuno ottenere il massimo rendimento (sessuale) col minimo sforzo umano (impegno): in quest'ottica peraltro l'immagine della donna "indipendente" non stona perché così non si è costretti a fare alcuno sforzo per venirle incontro e ci si può facilmente (e senza remore) liberare di lei una volta che si è stufi.
E così i pochi e peraltro incerti approcci (per lo più effettuati in modo stereotipato e riduttivamente consumistico, perché che ci si creda o no, la donna è ancora oggetto di compravendita) sono riservati ai soli casi in cui sia prevedibile con ragionevole approssimazione l'esito positivo dell'operazione e con altrettanta approssimazione sia certo che non si debbano sopportare conseguenze... limitative della propria libertà.
E quando l'impegno c'è, in realtà sospetto che sia perché si vuol passare dalla madre biologica alla madre moglie/compagna! (la quale ovviamente deve essere facile da gestire per poter meglio essere accuditi). E così paradossalmente il tipo di donna di cui il signor M. auspica il ritorno si ritrova in un vicolo cieco.

 
lunedì, 24 gennaio 2011

La Bella e la Bestia

wally
Coincidenza significativa: venerdì mi ha chiamato la mia prof di lettere del liceo, che intorno ai 18 anni consigliò a tutte noi di leggere "Donne che amano troppo" di Robin Norwood, e oggi mi trovo a discutere della strana maniera di amare delle donne,a margine di un film su un bandito adorato dalle italiane, fenomeno che il saggio della Norwood offre qualche chiave per analizzare.
Premetto che ho rigettato il libro a 18 anni, e anche a 25, l'ho letto un po' dopo. Colpa della traduzione italiana del titolo, che sembra quello di una brutta soap opera, e della famosa fotografia della donna in lacrime di Man Ray sulla copertina, che per molto mi è sembrata trash.
La psicoterapista americana è specializzata in terapia della famiglia e ha lavorato nell'ambito delle tossicodipendenze e dell'alcolismo. S'intende dunque di legami difficili, e anche di legami violenti.
Ma se uomini che soffrono di dipendenze sono "sbagliati" per una donna che cerca l'amore, anche l'amore di donne emotivamente dipendenti da loro, che hanno, direbbe il Renatino "il lato oscuro un po' pronunciato", non serve a nulla per ridimensionare il fenomeno della fragilità del maschio.
Le donne a volte amano in modo ossessivo, nell'inquietudine più avvolgente, ma sono mosse da una speranza: quella che l'uomo della nostra ossessione ci proteggerà dalle nostre paure. Le nostre paure sono quelle di non essere degne d'amore, nè considerate, tradite, abbandonate o annichilite.
Ciò che ha spinto la psicoterapeuta a stilare in un libro il profilo di queste donne è che i tormenti che sono la materia di cui sono fatte queste relazioni con uomini problematici tirano fuori il peggio, non solo delle donne, ma anche degli uomini, amati proprio perchè irresponsabili e bisognosi di aiuto.
Quali e quanti sono i pregiudizi culturali insiti in questo discorso? Guardo le sottolineature nel libro e provo a riassumere i passaggi più lucidi.
Ogni donna di questo tipo crede che può cambiare un uomo se lo ama abbastanza intensamente, senza capire che una persona cambia perchè vuole, non perchè può, o perchè la supplichi. Tutti possono cambiare, ma la maggior parte rimane com'è perchè non ha intenzione di cambiare, sta bene come sta, anche se è egoista, prepotente, immaturo o non so cosa.
Si vuole in realtà controllare l'uomo quando lo si ama in maniera ossessiva. L'aiuto che si offre all'uomo è semplicemente l'altra faccia del controllo che si spera di avere su di lui (e dunque anche su se stesse e sul circostante).
Ogni donna può diventare, per dirla con Alda Merini, una "mendicante d'amore", quando dice costantemente al suo uomo: "Se soffro per te, tu mi amerai?"
Occuparsi di un uomo difficile è un modo per smettere di sentire alcuni sentimenti precisi verso di sè.
Confrontando la realtà di ciò che si è con le proprie aspirazioni si dovrebbe scoprire la propria eventuale dose di vergogna, frustrazione, senso di abbandono, panico, disperazione, pietà, risentimento, disgusto: tutti sentimenti che, per attuare una totalità del carattere, vanno ridefiniti in positivo.
L'antidoto al giocare troppo a lungo a "La Bella e la Bestia" è l'accettazione della realtà. 
domenica, 23 gennaio 2011

Impressioni da un film girato (anche) qui

vallanzasca 1Dopo "Romanzo criminale" le mie aspettative riguardo un film di Michele Placido incentrato sulla cronaca nera italiana degli anni settanta erano altissime.

Ebbene, "Vallanzasca-Gli angeli del male" ha gli stessi punti di forza del - per me- eccellente film tratto dal best seller di Giancarlo De Cataldo: regia, sceneggiatura, realismo, ritmo.
Probabilmente il mio giudizio è condizionato dal fatto che Lodi ne è coinvolta, sia dal punto di vista della cronaca stessa dei fatti, sia come luogo di ambientazione di alcune scene del film. I protagonisti girano armati e con abiti eleganti per le strade che io di solito faccio a piedi o in bicicletta e in quel frangente decine di auto e furgoncini di metà anni settanta si incastrano e sfrecciano. E' emozionante.
La violenza, le scorribande, le scene a tinte forti rendono la storia coinvolgente, per cui il film rimane negli occhi e nella testa. Lo stesso accadeva con "Romanzo criminale", un film di grande coerenza estetica, potenziato da equilibri riusciti tra dialoghi e sequenze, e soprattutto tra la storia generale del paese e il corso dei reati commessi dalla banda, che in modo inquietante si sovrapponevano.
In "Vallanzasca" la vicenda è tutta biografica e concede poco alla coralità di "Romanzo criminale". Mi pare un vero e proprio film di genere gangster-poliziesco all'italiana - credo si dica- che è tra quei generi di culto per Quentin Tarantino (il quale a me personalmente ha mostrato i bilanciamenti tra azione e racconto che fanno da cardine a una ben riuscita narrazione cinematografica di questo tipo).
Ladro e assassino, dandy e gentiluomo, Kim Rossi Stuart è bravissimo nel ruolo di nemico pubblico. Ci ha reso interessante, anche simpatico, il suo personaggio. In parte perchè la vicenda è vera e non si sottrae al meccanismo delitto e castigo in un Italia dove pressochè tutta la criminalità non è all'altezza, mi si passi il termine, dei delitti di cui si macchia. In parte perchè Vallanzasca sembra nato per fare, oltre che il ladro, anche il protagonista di un romanzo da leggere fino alla fine, capitolazione dopo capitolazione.

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written by: Malfido time 09:58 | link | commenti (21)
sections: 07-città, 08-professioni, 09-personaggi famosi
venerdì, 21 gennaio 2011

Elogio della bicicletta

233Da qualche giorno circola in paese la notizia che dopo anni e anni di promesse forse stavolta la pista ciclabile verso il capoluogo si farà. Magari addirittura in fretta.
Questo mi gasa da matti. Una delle cose che preferisco è andare incontro alle persone percorrendo anche, se ce la faccio, un paio d'ore di bicicletta. Mi sembra un bel modo per prepararmi ad incontrarci.

"Incontrarsi", al mondo d'oggi, sembra solo essere collegati dai veicoli, ma, se si ha il lusso del tempo, ci si accorge che è una prospettiva un po' alienante.
Perciò oggi ho cercato di leggere qualcosa da "L'elogio della bicicletta" del pensatore in lingua francese Ivan Illich.
Noto che quello che molti lettori di questo libro apprezzano è la distinzione che Illich fa tra trasporto e transito. Nel mondo monopolizzato dal trasporto il passeggero diventa un angosciato e forzato consumatore di distanze delle quali non può decidere né la forma né la lunghezza. Se sceglie invece di transitare, cioè di compiere uno sforzo di passaggio, afferma il valore stesso della fatica e della meta, e può partecipare di una ristrutturazione sociale dello spazio, "che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive”.
La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare 18 al posto di un'auto, se ne possono spostare 30 nello spazio divorato da un'unica vettura. Per portare 40000 persone al di là di un ponte in un'ora ci vogliono 12 corsie se si ricorre alle automobili e solo 2 se le 40000 persone vanno pedalando in bicicletta. 
written by: Malfido time 17:13 | link | commenti (1)
sections: 02-cose, 06-paesi, 14- letteratura arte opinioni
giovedì, 20 gennaio 2011

Vuoi vivere in un mondo dove muoiono le api?

APE
Ciò che non fa bene all'alveare non può far bene alle api.
MARCO AURELIO
Mi hanno inoltrato una mail riguardo la possibile estinzione delle api, perciò ho aderito a un appello per salvarle tramite la messa al bando di alcuni particolari pesticidi tossici che sono ritenuti responsabili della dilagante moria di api in tutto il mondo.

L'appello punta a raccogliere un milione di firme entro domani. Quasi ci siamo. Se non vi piacciono le api, comunque sicuramente v'importa della catena alimentare, dal momento che questi insetti svolgono una funzione più utile di quella di molti di noi.
https://secure.avaaz.org/it/save_the_bees/?vl
written by: Malfido time 14:03 | link | commenti (1)
sections: 03-animali, 14- letteratura arte opinioni
martedì, 18 gennaio 2011

Bauen

Copia di DSCN2516Costruire e coltivare in tedesco sono due concetti vicinissimi.
Il verbo bauen (non) è (il verso del cane ma) il corrispondente dell'inglese build, appunto costruire.
Bauer invece è un nome e significa agricoltore (ma in altro contesto può al pari significare costruttore).
Il massimo della metafora è auf jemanden oppure auf etwas bauen che significano fare affidamento su qualcuno o qualcosa.
In italiano sarebbe pleonastico dire coltivo o costruisco su di te, ma in tedesco si può dire e significa molto.
Scheiße bauen invece è una cosa che si fa di tanto in tanto, soprattutto quando si è, diciamo così, confusi. Ognuno se le coltiva le sue vaccate… (basta modificare di poco l’ultima parola per centrare del tutto il senso).
Dal latino còlere, coltivare, nascono parole in ogni lingua. Kultur si può tradurre in italiano sia cultura che coltura, mentre per l’ambito agricolo in inglese si usano parole tipo farming o crop o cultivation [cultivated comunque significa colto].
Ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
Può venirci voglia di cantare il finale della più visionaria e utopica canzone di Anime Salve, oppure di condividere l’ideale irrealizzabile del giovane professore di Ermanno Olmi, che dopo aver trafitto con enormi chiodi di ferro i cento libri di maggior valore nella biblioteca di una storica università, ricomincia da capo e va a vivere dentro una capanna lungo il Po, come un Henry David Thoreau della pianura padana.

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