mercoledì 11 gennaio 2012

domenica, 11 luglio 2010

Paradiso per egoisti: il caso di Leonida Spittelberger e Vera Worms

baum
In esilio a Buenos Aires nel 1941 il viennese Franz Wefel (famoso anche per essere divenuto il secondo marito della vibrante Alma Mahler) pubblica “Eine blassblaue Frauenschrift”, “Una scrittura femminile azzurro pallido”. Come la prosa del dottor Arthur Schnitzler, anche quella di Werfel è talvolta una lama fin troppo affilata, tanto è lucida e puntuale nel descrivere i percorsi della mente: i pensieri premonitori che annunciano le verità non dette, la vigliaccheria delle elucubrazioni di un perbenista di mezza età nato povero ma arricchitosi in fretta, le paranoie profetiche di una donna gelosa.
Leonida Spittelberger è un alto funzionario ministeriale nella Vienna del 1936. Si è fatto strada nella capitale austriaca grazie al frac ereditato da un compagno di studi suicida, alla sua delicatezza nel ballare il valzer e alla sua loquela piena di buone maniere. Ha sposato la giovane splendida, ricchissima Amelie Paradini, dal primo istante piena di amore e devozione per lui.
Il giorno in cui compie cinquant’anni Leonida riceve una lettera, scritta a mano con inchiostro blu chiaro, da parte di Vera Wormser, la ragazza ebrea che, poco dopo il suo matrimonio a Vienna, aveva sedotto e abbandonato a Heidelberg, mentre questa studiava filosofia.
Vera gli chiede solo, formalmente, di prendere a cuore il destino di un giovanotto di sua conoscenza, pieno di talento ma isolato. Leonida si convince che il giovane sia il loro figlio segreto e rivive la loro storia dall’inizio, da quando cioè egli era l’umile precettore del fratello di Vera, e lei una ragazza altera e sicurissima di sé. Pensa alle bugie sulle quali si basa il suo matrimonio, si fa prendere dalla smania di confessare tutto…
Non svelerò come vanno le cose, ma inizio a prendere nota della prima delle due parti che, dal punto di vista della conoscenza e dell’esperienza del femminile, secondo me sono molto interessanti. Di seguito trascritta c'è la descrizione della storia d’amore tra Leonida e Vera dal punto di vista di lui, che imbastisce una finta confessione davanti alla Suprema Corte di Giustizia. La loro vicenda è molto avvicente e per niente scontata dal punto di vista psicologico ed emotivo. Werfel affonda il coltello fino al manico. La seduzione è lenta e pianificata con sadico egoismo  e Vera, nonostante il suo coraggio e la sua indipendenza, si lascia prendere e ferire come un uccellino.
(L’altra parte eccezionale secondo me riguarda la moglie di Leonida: la stessa scrittura azzurro pallido scatena nell’intensa Amelie visioni di infedeltà e di piccolezza umana che le rivelano chi è il suo consorte).
Nessuno al mondo ha mai creduto con la pienezza e il candore di quella ragazza capace di una critica così tagliente.
[…]
Ma la mia colpa non sta nel semplice fatto che ho sedotto quella ragazza. Ho preso una fanciulla che era pronta a essere presa. La mia colpa è stata che in mala fede ho fatto di lei la mia donna, in maniera assoluta, totale, come mai in vita mia mi era successo, neppure con Amelie. Le sei ineffabili settimane che ho trascorso con Vera sono state l’autentico matrimonio della mia esistenza. Nella grande dubitatrice ho instillato una fede in me veramente inaudita con l’unico intento di farla poi miseramente crollare. Questo è il mio delitto.
[…]
Mi comportai allora come un finto cavaliere che prende le donne con insidiosi lacci, come un volgare istrione che largisce illusioni matrimoniali. La cosa cominciò in perfetto stile, con i gesti più triviali che si usano in queste circostanze. […] E dalla prima bugia con rigorosa consequenzialità  nacque la seconda, la terza e poi centinaia e centinaia di altre bugie. Ma il vero pepe della mia colpa è un altro, è quello  che solo adesso sto per rivelarvi. Tutte queste bugie, e il candore, la fede senza riserve della giovane ingannata accrescevano la mia voluttà in maniera inimmaginabile. Con fervido entusiasmo costruivo dinanzi a Vera la nostra futura vita in comune. Con coscienziosità assolutamente impeccabile dimostravo una sollecitudine casalinga che la conquistò. Nulla fu trascurato nei piani che venivo costruendo […]. La mia fantasia faceva faville. Nulla fu lasciato al caso. Elaborai un piano dettagliatissimo, ora per ora, giorno per giorno, della nostra radiosa vita coniugale.
[…]
Feci a Vera un gran numero di regali per aumentare ancora di più la sua fiducia in me. […] Per l’unica volta in tutta la mia vita mi comportai da prodigo. […] Che indescrivibile prurito mi nasceva dentro quando in Vera si scioglieva il ghiaccio dell’intelligenza e veniva allo scoperto la donna, la fanciulla in estasi che in tutta la sua esotica leggiadria si arrendeva all’uomo con quella incondizionata dedizione che al sesso maschile spetta di diritto.
[…]
Come sento ancora la melodia del suo passo che procede all’unisono col mio! Non ricordo di aver vissuto niente di più bello di quella mano nella mano, di quei passi che procedevano all’unisono. Ho vissuto pienamente questa sensazione, ma nello stesso tempo godevo, sia pure con profondo raccapriccio, per la morte violenta che stavo per infliggere alla nostra unione. Per Vera fu una giornata lieta perché dopo un breve periodo di separazione io sarei venuto a prenderla per portarla via con me per sempre. Non vedo il suo viso sotto il finestrino del treno. Ma certo era un viso sorridente, data la tranquilla, piena fiducia che lei aveva in me. “Addio, vita mia” le dissi. “Fra due settimane vengo a prenderti”. Ma quando poi, dopo tante settimane di tensione, mi sedetti con un tonfo nello scompartimento in cui ero da solo, crollai, crollai di colpo in un sonno profondo ch’era quasi un’anestesia.
pp. 49-52
written by: Malfido time 22:34 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Krumau come qui

landscape_at_krumau
Beobachtung
Dort oben auf dem weit
waldumrandeten Rauschenland
geht langsam der lange weiße Mann blaurauchend
und riecht und riecht die weißen Waldwinde.
Er geht durch die kellerriechende Erde
und lacht und weint.
Osservazione
Lassù nel vasto
paese frusciante da boschi cinto
l’uomo alto e bianco fumando di blu va lento
e aspira aspira i bianchi venti di bosco.
Sulla terra che odora scantinato passa
e ride e piange.
Paesaggio e versi di Egon Schiele (fate lo sforzo di leggerlo in originale perchè la tramatura sonora è notevolmente espressionista)
written by: Malfido time 22:31 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Eduard Kosmack sulla Landstraße

ritratto di eduard kosmackLandstraße
Die hohen Bäume
gingen alle die Straße entlang.
In ihnen zirpten zittrige Vögel.
Mit großen Schritten und roten Böseaugen
durchlief ich die nassen Straßen.
Strada di campagna
Gli alti alberi
filavano lungo la strada.
Dentro pigolavano trepidi uccelli.
A grandi passi con rossi occhi cattivi
percorrevo le strade bagnate.
Quadro e poesia di Egon Schiele in personalissimo accostamento
written by: Malfido time 22:28 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni
giovedì, 08 luglio 2010

Visioni di Egon Schiele

young_boy_1918_pencil_hi
Tutto mi era diletto -
Volevo guardare amabilmente la gente adirata,
per obbligare gli occhi a farsi incontro;
agli invidiosi volevo offrire doni e dire
ch'io non ho valore.
[...]
Vidi il parco: gialloverde, bluverde, rossoverde,
violaverde, assolatoverde e trepidanteverde -
e stetti in ascolto dei fiori d'arancio in fiore.
Poi mi allacciai nel parco al muro ovale
ad ascoltare i bambini dagli esili piedi,
loro, a puntini blu e a righe grige
con i fiocchi rosa.
Le colonne d'alberi tracciavano linee per l'appunto,
quand'essi si sedettero
sensualmente in ovale.
Pensai al ritratto a colori delle mie visioni,
e mi parve come se avessi parlato
con tutte quelle soltanto. 
written by: Malfido time 17:03 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Schiele e Novalis

camiv
Tra il mio poeta preferito del romanticismo e il mio pittore preferito dell'espressionismo passa questo esperimento poetico di Schiele.
Novalis, nel primo dei suoi Inni alla Notte, prende le distanze dalla luce del giorno e si rivolge alla notte come se essa sola avesse davvero un cuore umano, capace di far intuire la profondità del cielo, perchè è la notte che ci avvicina al mistero, che ci dona consolazione e puro ardore di spirito.
Schiele gli ruba il primo verso, ma poi sostiene che la vera guida per il cosmo è lo spirito dell'artista, che riceve e produce particolari visioni sulla pura realtà della natura, al di fuori e dentro l'uomo.   
Chi tra i viventi col dono di sentire
non vuol badare
a prodigi,
e scrutare
nel proprio spirito
guide
per il cosmo?
L'eterno venire,
essere,
e passare,
sogni
del futuro
e tolleranza
del presente.
Desideri
divengon soffio
in questo tutto.
Per quale
tra i dotati
dello spirito
la natura è come
un problema
delle sacre arti?
La crederebbero
forse prodotto
di mano dell'uomo?
Artista innanzitutto
è il grande dotato dello spirito,
che esprime
visioni
di concepibili manifestazioni
in natura.
written by: Malfido time 16:53 | link | commenti
sections: 14- letteratura arte opinioni

Dell'essere inumano e modeste esigenze della scuola

brecht
Da oggi, quando mi capita, vado a ripescare nei Dialoghi di profughi, scritti da Brecht durante il soggiorno in Finlandia (aprile 1940-maggio 1941). In questo anno oscuro, in cui i nazisti occupavano un paese dopo l’altro, Brecht lavorava intensamente.
Protagonisti di questi dialoghi sono Kalle e Ziffel, autocritici e dediti alla dialettica e all’umorismo. Mai d’accordo in principio, finiscono poi per essere sostanzialmente concordi nel giudicare i fatti e le prospettive: la sola differenza è che il primo considera l’impegno politico come qualcosa di ovvio, mentre il secondo lo accetta “non senza titubanza”, titubanza da intellettuale.
Ziffel e Kalle si palleggiano l’immagine di Brecht  e questo è lo straniamento tipico di Brecht nei confronti di Brecht. Ziffel, il fisico, è figlio di gente benestante, come Brecht. Le sue esperienze scolastiche sono quelle dell’autore, che è anche “il compagno di scuola B.” di cui, tra qualche riga, si riporta un tiro: quello di aggiungere correzioni false al compito per poi protestare con l’insegnante, di cui sappiamo che Brecht andava particolarmente fiero. Kalle, l’operaio basso e tarchiato, assomiglia fisicamente a Brecht e cita poesie brechtiane, ma, per il vero, Brecht provava una costante antipatia per i letterati e ammirava i tecnici e gli scienziati.
Dal terzo dialogo si citano di seguito le parti DELL’ESSERE INUMANO e MODESTE ESIGENZE DELLA SCUOLA, perché mi fanno riflettere, dialetticamente, sul mio lavoro.
Z […] i maestri hanno il compito, che richiede la massima abnegazione, di personificare alcuni tipi base dell’umanità con il quale il giovane avrà a che fare più tardi nella vita. Gli si dà l’occasione di studiare per quattro, sei ore al giorno, brutalità, cattiveria e ingiustizia. […] L’Essere Inumano appare dinanzi al giovane, nella scuola, in forme gigantesche e indimenticabili. Esso detiene un potere quasi senza limiti. Fornito di cognizioni pedagogiche e di una esperienza pluriennale, esso educa lo scolaro a sua immagine e somiglianza.
Lo scolaro impara tutto ciò che è necessario per andare avanti nella vita. […] Si tratta di appropriazione indebita, di simulare di sapere quel che non si sa, di capacità di vendicarsi impunemente, di rapida assimilazione di luoghi comuni, adulazione, servilismo, prontezza a tradire i propri simili con i superiori ecc.
Ma la cosa principale è la conoscenza degli uomini. La si conquista sotto forma di conoscenza dei maestri. Lo scolaro deve saper riconoscere e sfruttare le debolezze del maestro, altrimenti non potrà mai impedire che lo si imbottisca di quel guazzabuglio assolutamente privo di valore che si chiama patrimonio cerebrale.
[…] [es.1] da lui non imparammo la chimica, ma come ci si vendica.
[…]l’insegnante di lingua francese aveva un’altra debolezza. Rendeva omaggio a una malvagia dea che esige terribili sacrifici: la Giustizia. Il mio compagno B. ne traeva vantaggio nel modo più intelligente. […] Sul suo compito già corretto egli sottolineava con inchiostro rosso qualche punto del tutto esatto  e andava alla cattedra con aria offesa a chiedere che cosa mai ci fosse di sbagliato. Il maestro doveva riconoscere che non c’era niente di sbagliato, cancellare i segnacci rossi, rettificare il numero degli errori e, naturalmente, anche il voto. Si ammetterà che questo scolaro a scuola ha imparato a pensare.

Nessun commento:

Posta un commento