martedì 10 gennaio 2012

giovedì, 07 luglio 2011

The Heart of man. Its genius for good and evil

schattenAlcuni giorni fa Concetto ha dato il suo esame di Estetica, e io oggi pensavo a ciò di cui abbiamo discusso. Non mi ricordo il titolo di quel libro sul capro espiatorio, ma, per una coincidenza sincronistica, ho trovato, tra i miei libri presi a 1€ a Villa Braila, un libro di Erich Fromm il cui titolo è bellissimo: The Heart of man. Its genius for good and evil. Il testo è del 1964. Le citazioni sono dall’edizione italiana, tra le pagine 24 e 31.

Il primo saggio, ad un certo punto, formula un’ipotesi: dovremmo ritenere che voi e io e moltissimi uomini medi siamo lupi in veste di pecore, e che la nostra “vera natura” si manifesterà, una volta liberatici da quelle inibizioni che ci hanno sinora impedito di agire come bestie?

Dovremmo supporre che la semplice risposta è che esiste una minoranza di lupi che vive fianco a fianco ad una maggioranza di pecore?

I lupi vogliono uccidere; la pecora vuole seguire. Pertanto i lupi mandano la pecora ad uccidere, ad assassinare, a strangolare, e la pecora ubbidisce non perché si diverta ma perché vuole seguire; e persino in quei casi gli assassini debbono inventare delle storie sulla nobiltà della loro causa, sulla difesa contro la minaccia alla libertà, sulla vendetta per i bambini trucidati, per le donne aggredite e l’onore violato, per indurre la maggior parte delle pecore ad agire come lupi.

Non significa che ci sono due razze umane, per così dire: quella dei lupi e quella delle pecore?

E ancora, come mai le pecore possono essere facilmente persuase ad agire come lupi se non è nella loro natura di farlo, purchè la violenza venga loro presentata come un sacro dovere?

E’ forse vero, dopo tutto, che i lupi rappresentano la qualità essenziale della natura umana, solo in forma più manifesta di quanto non mostri la maggioranza?

Può darsi che l’uomo sia insieme lupo e pecora, oppure né lupo né pecora?

La risposta a queste domande è di importanza nodale, oggi che le nazioni contemplano l’uso delle forze più distruttive per l’estinzione dei loro “nemici”, e sembrano non spaventarsi neppure di fronte alla possibilità di estinguersi anch’esse nell’olocausto.

Se siamo convinti che la natura umana di per sé sia pronta a distruggere, e che il bisogno di far uso della forza e della violenza sia radicato in essa, allora la nostra resistenza alla sempre crescente brutalità si farà più debole.

Perché resistere ai lupi se siamo tutti lupi, alcuni più di altri?

L’uomo è fondamentalmente cattivo e corrotto oppure è fondamentalmente buono e perfettibile?

Il Vecchio Testamento non prende posizione sulla fondamentale corruzione dell’uomo. La disobbedienza di Adamo ed Eva a Dio non viene chiamata peccato; non vi si accenna mai al fatto che questa disobbedienza abbia corrotto l’uomo.

Al contrario, la disobbedienza è condizione  per l’autocoscienza dell’uomo, per la sua capacità di scelta; e quindi, in ultima analisi, questo primo atto di disobbedienza è il primo atto dell’uomo verso la libertà.

Sembra persino che questa disobbedienza rientrasse nei piani di Dio: poiché, secondo il pensiero profetico, appunto perché fu cacciato dal Paradiso, l’uomo è in grado di fare la propria storia, di sviluppare le proprie facoltà umane, e di raggiungere una nuova armonia con l’uomo e la natura, come individuo pienamente evoluto, in luogo dell’armonia precedente in cui egli non era ancora un individuo.

Il concetto messianico dei profeti implica certamente che l’uomo non sia fondamentalmente corrotto e che possa essere salvato senza alcun atto speciale di grazia divina. Ma questo non significa che tale potenzialità al bene dovrà necessariamente vincere. Se l’uomo fa il male, diventa peggiore.

Il Vecchio Testamento offre altrettanti esempi di fare il male che di fare il bene, e non esclude dalla lista dei malfattori neppure figure assai lodate, come Re Davide. Il punto di vista del Vecchio Testamento è che l’uomo possiede tutte e  due le facoltà, quella del bene e quella del male, e che deve scegliere tra bene e male, tra beatitudine e dannazione, tra vita e morte. Neppure Dio interviene nella sua scelta; lo aiuta inviando i suoi messi, i profeti, ad insegnare i precetti che conducono a realizzare la bontà, ad identificare il male, ad ammonire e protestare. Ma, fatto questo, l’uomo è lasciato solo con le sue “due spinte”, al bene e al male, e la scelta è soltanto sua.

L’evoluzione del cristianesimo fu diversa. Nel corso dello sviluppo della Chiesa Cristiana, la disobbedienza di Adamo venne concepita come un peccato. Anzi, come peccato così grave da corromperne la natura, e con essa quella di tutti i suoi discendenti, e l’uomo, quindi, non potrà mai liberarsi con i propri sforzi di questa corruzione. Soltanto l’atto di grazia di Dio, la comparsa di Cristo, che morì per l’uomo, poteva estinguerne la corruzione e offrire la salvezza a coloro che accettavano Cristo.

Ma il dogma del peccato originale non rimase incontrastato in seno alla chiesa.

L’Illuminismo proclamava che tutto il male dell’uomo non era che il risultato delle circostanze. Mutando le circostanze che producono in male, essi pensavano, l’originaria bontà dell’uomo affiorirà quasi automaticamente. Tale opinione pervase anche il pensiero di Marx e dei suoi successori.

Per converso, il fallimento morale dell’Occidente che ebbe inizio con la Prima Guerra Mondiale e portò in seguito a Hitler e Stalin, a Coventry e Hiroshima, fino agli attuali preparativi per l’estinzione universale, ripropose all’attenzione il tradizionale tema dell’inclinazione dell’uomo al male. Il che fu un sano antidoto alla sottovalutazione dell’innato potenziale di malvagità umana, ma troppo spesso servì a mettere in ridicolo coloro che non avevano perduto la fede nell’uomo, fino a misconoscere, talora e a distorcere la loro posizione.

Eppure esiste il pericolo che il senso di impotenza che pervade la gente oggi – l’intellettuale come l’uomo medio- con forza sempre crescente, possa portarla ad accettare una versione nuova  della corruzione e del peccato originale, che serva a razionalizzare il punto di vista disfattista secondo cui la guerra non può essere evitata perché è il risultato della mania di distruzione propria della natura umana.

Un’opinione simile è illusoria per due versi.

Primo, l’intensità degli impulsi distruttivi non significa che essi siano invincibili o persino dominanti. Il secondo errore sta nella premessa che le guerre siano, in primo luogo, il risultato di forze psicologiche. Le guerre sono il risultato di decisioni di leaders politici, militari e del mondo degli affari, che sollecitano una guerra per guadagnare territorio, risorse naturali, vantaggi commerciali; o a scopo di difesa contro minacce, reali o presunte, alla sicurezza del paese da parte di un’altra potenza; o per aumentare il proprio prestigio personale e la gloria. Questi uomini non sono diversi dall’uomo medio: sono egoisti, hanno scarsa capacità di rinunciare al vantaggio personale a favore di altri; ma non sono né viziosi né crudeli. Quando uomini simili – che nella vita comune farebbero probabilmente più bene che male- raggiungono posizioni di potere dove possono comandare a milioni di persone e controllare le armi più distruttive, essi sono in grado di causare enormi pericoli. Nella vita civile possono aver distrutto un avversario; nel nostro mondo di stati potenti e sovrani ( “sovrani” non significa non soggetti a nessuna legge morale che limiti l’azione dello stato sovrano), essi possono distruggere il genere umano.

L’uomo comune con potere fuori dal comune è il pericolo primo per l’umanità, e non il malvagio o il sadico. Ma appena occorrono armi per combattere una guerra, occorrono sentimenti appassionati di odio, di indignazione, di distruttivismo, e timore di far rischiare la vita a milioni di persone e di farle diventare assassini. Tali passioni sono condizioni necessarie per sostenere la guerra, ma non ne sono la causa; niente più dei cannoni e delle bombe in sé ne sono la causa.

Molti osservatori hanno commentato che la guerra nucleare differisce dalla guerra tradizionale in questo: l’uomo che spingerà i pulsanti sganciando i missili con un carico nucleare, uno dei quali può uccidere centinaia di migliaia di persone, a malapena si renderà conto di uccidere qualcuno nel senso in cui un soldato faceva la stessa esperienza usando la baionetta o la mitragliatrice. Eppure, persino l’atto di sganciare armi nucleari, coscientemente, non è nulla di più della fedele obbedienza a un ordine; rimane in questo caso il problema se negli strati più profondi della personalità esista, se non un impulso distruttivo, una profonda indifferenza per la vita, che rende possibili tali atti.

Il paragrafo qui sotto, invece, è tratto da p. 45

Nell’uomo che cerca una risposta alla vita regredendo allo stato pre-individuale dell’esistenza, divenendo simile a un animale e affrancandosi, in tal modo, dal peso della ragione, il sangue diventa l’essenza della vita; spargere sangue vuol dire sentirsi vivo, essere forte, essere unico, essere al di sopra degli altri. Uccidere diventa la grande eccitazione, la grande affermazione di sé, al livello più arcaico. Per contro, essere uccisi è la logica alternativa  all’uccidere. Questo è l’equilibrio della vita in senso arcaico: uccidere per quanto si può, e quando la propria vita sia in tal modo sazia di sangue, si è in qualche modo pronti a essere uccisi. Uccidere in questo senso non è essenzialmente amore di morte, è affermazione e trascendenza della vita al livello della più profonda regressione. Si può osservare questa sete di sangue negli individui, talvolta nelle loro fantasie o nei sogni, talvolta in malattie mentali gravi o in omicidi. La si può osservare in una minoranza, in tempo di guerra –internazionale o civile- quando le normali inibizioni sociali sono state rimosse. La si osserva nelle società arcaiche, dove uccidere (o essere uccisi) è la polarità che governa la vita.
giovedì, 30 giugno 2011

Il passeggiatore solitario

Copia di nikon07 400Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m'imbatta in giganti, abbia l'onore di incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici . Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto.

Robert Walser, La passeggiata
written by: Malfido time 11:03 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
mercoledì, 29 giugno 2011
narciso_caravaggio1Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perchè, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza.

L'alchimista, p. 16
lunedì, 27 giugno 2011

Quesito INVALSI

Insieme ad un gruppo di lavoro formato da colleghi commissari abbiamo elaborato una proposta per uno dei quesiti INVALSI del prossimo anno.

Il quesito è privo di griglia di valutazione, in quanto solo l’INVALSI stesso sa davvero quali coefficienti siano da riconoscere ed assegnare ad ogni risposta corretta – salvo successive modificazioni.

Dato che il quesito è composto di dieci parti, la sua valutazione complessiva non sembra, in fase appassionatamente sperimentale, particolarmente complicata, ma c’è da fare attenzione sempre ai coefficienti, tornare ai coefficienti.

Dunque, our modest proposal is the following:

Completa la tabella relativa alle differenze tra un’interrogazione e un interrogatorio
luca manara 3 
  INTERROGAZIONE INTERROGATORIO
Si tiene:
a scuola    
in parlamento    
alla stazione di pubblica sicurezza    
a casa, al cospetto dei genitori    
È consentito il ricorso a:
Sintetiche mappe concettuali, in caso di DSA certificato.    
uno o più legali rappresentanti, in caso si discuta di un reato.    
 
Viene registrato/a  e sottoscritto/a da chi l’ha raccolto/a e da chi l’ha rilasciato/a.    
Viene registrato/a e valutato/a da chi l’ha condotto/a e deve recare la firma del genitore (o di chi ne fa le veci) di chi vi si è sottoposto.    
Le persone informate sui fatti:
è bene si tengano a disposizione    
debbono star zitte e non suggerire     
written by: Malfido time 14:53 | link | commenti (5)
sections: 08-professioni
sabato, 25 giugno 2011

Cosa deporre?

Tra le poesie di Wislawa Szymborska ce n’è una che mi fa pensare ad una deposizione davanti al Commissario…
Se un collega di pubblica sicurezza mi domandasse dov’ero il 16 maggio 1973 sarebbe facile rispondere, perché non ero ancora nata.

Però, in mezzo alle mille scene di interrogatori, di cui leggiamo e veniamo a conoscenza, una cosa non sono mai riuscita a mettere a fuoco: come fa un individuo, su due piedi, a ricordare dov’era e che faceva in un giorno e in un momento lontano nel passato, e a fornire addirittura dettagli?

Sicuramente in qualche vecchio soggetto mai concluso di Nanni Moretti ci sarà un personaggio che tiene un diario minuzioso solo nell’evenienza di essere un giorno interrogato in commissariato.

Wislawa Szymborska, invece, ad un gentile, simpatico e sexy commissario alla Frank Zappa probabilmente risponderebbe così:
 
Una delle tante date
Che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,
che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto
- non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense
Senza che ci facessi caso.
La terra ruotò
E non ne presi nota.

Mi sarebbe più lieve pensare
Di essere morta per poco,
piuttosto che ammettere di non ricordare nulla
benché sia vissuta senza interruzioni.

Non ero un fantasma, dopotutto,
respiravo, mangiavo,
si sentiva
il rumore dei miei passi,
e le impronte delle mie dita
dovevano restare sulle maniglie.

Lo specchio rifletteva la mia immagine.
Indossavo qualcosa d'un qualche colore.
Certamente più d'uno mi vide,

Forse quel giorno
Trovai una cosa andata perduta.
Forse ne persi una trovata poi.

Ero colma di emozioni e impressioni.
Adesso tutto questo è come
Tanti puntini tra parentesi.

Dove mi ero rintanata,
dove mi ero cacciata –
niente male come scherzetto
perdermi di vista così.

Scuoto la mia memoria –
Forse tra i suoi rami qualcosa
Addormentato da anni
Si leverà con un frullo.  

written by: Malfido time 15:43 | link | commenti
sections: 08-professioni, 14- letteratura arte opinioni

Siamo tutti Commissari

 luca manara 4Ancora per alcuni giorni sarò impegnata come
Commissaria
d'Esame
di Stato
di Licenza

Dopo 6 anni di onorato servizio - non dubitate, perchè nelle graduatorie pubbliche vanto un rispettabilissimo asterisco corrispondente al servizio lodevole- come minimo qualcuno dovrebbe arrivare a portarmi il distintivo, o almeno un tesserino.

E invece mai che quando manca un commissario nominino, che ne so, il collega Luca Manara…

luca manara 2 

Tra l’altro il collega Manara sicuramente ha la licenza per il porto d’armi, perciò, quando l’Invalsi continua a rivedere le griglie, bloccandoci alla partenza, potrebbe sparare un colpo e lasciarci finalmente avviare il percorso di registrazione delle risposte, che più è veloce, meglio è.

Se Luca per caso dimenticasse la pistola, magari arriverebbe Groucho, l’assistente di Dylan Dog. Dylan indaga, e i suoi mostri a volte spariscono, oppure vanno eliminati. Se Groucho il 30 di giugno lancia le pistole anche a noi professori, pure noi spariamo.

Da anni, dicevo, mi nominano nelle commissioni ma, anche se non entro in un’indagine,  io voglio un distintivo, come quello di polizia scaduto di Dylan Dog, che lo sfoggia con nonchalance quando ha bisogno di farsi strada da qualche parte.

Noi delle commissioni abbiamo sempre piccole faccende da sbrigare,  ad esempio ordiniamo merce. Poi veniamo pagati come quelli che lavorano agli sportelli: più o meno la somma che ci spetta è per aver fatto da intermediari di una transazione.

Naturalmente, il trenta di giugno, come ogni anno, sarò anch’io, coerentemente, licenziata.

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