martedì 10 gennaio 2012

martedì, 16 novembre 2010

(Dot)azione naturale

Copia di DSCN0708
Mio papà mi ha appena raccontato che ieri al telegiornale hanno mostrato le immagini di un coccodrillo che, uscendo dall'acqua, si è imbattutto in un gatto. Il felino gli ha ripetutamente mostrato le unghie, come se lo volesse graffiare. Difficile da credere, ma il coccodrillo ha girato la sua coda ed è tornato, intimorito, da dove era venuto.
Probabilmente quel gatto ha sangue freddo da vendere, una soprendente cattiveria e tanta incoscienza. Oppure, come si dice nell'italiano regionale delle mie parti, la vita gli è venuta in odio (la dott.ssa Zigarelli precisa anche che farsi venire in odio la vita significa annoiarsi). Parimenti quel coccodrillo dev'essere ingenuo in maniera quasi imperdonabile, troppo emotivo, per niente consapevole di sè. Però questa vicenda rende chiaro, una volta di più, che niente è davvero come sembra, e che la natura si basa molto anche su questo per fare le sue selezioni, o per combinare strani casini nelle relazioni e nelle biografie personali.
Sul modo in cui si possa essere, molto al di là di come si viene, superficialmente, percepiti, c'è la bellissima pagina dell'ultimo libro di Ammaniti sulla metamorfosi di Lorenzo Cuni. Aridaje con  Kafka, qualcuno dirà. Appunto. E' la pagina in cui, tra le righe, si materializza un Gregor Samsa adolescente. W l'entomologia in letteratura!
Da qualche parte, ai tropici, vive una mosca che imita le vespe. Ha quattro ali come tutte quelle della sua specie, ma le tiene una sull'altra, così sembrano due. Ha l'addome a strisce gialle e nere, le antenne e gli occhi sporgenti, e ha anche un pungiglione finto. Non fa niente, è buona. Ma, vestita come una vespa, gli uccelli, le lucertole, persino gli uomini la temono. Può entrare tranquilla nei vespai, uno dei luoghi più pericolosi e vigilati del mondo, e nessuno la riconosce.
Avevo sbagliato tutto.
Ecco cosa dovevo fare.
Imitare i più pericolosi.
Mi sono messo le stesse cose che si mettevano gli altri. Le scarpe da ginnastica Adidas, i jeans con i buchi, la fela nera con il cappuccio. Mi sono tolto la riga e mi sono fatto crescere i capelli. Volevo anche l'orecchino ma mia madre me lo ha proibito.
[...]
Camminavo come loro. A gambe larghe. Buttavo lo zaino a terra e lo prendevo a calci.
Li imitavo con discrezione. Da imitazione a caricatura è un attimo.
Durante le lezioni me ne stavo al banco facendo finta di ascoltare [...]. Andavo pure a ginnastica, ridevo alle battute degli altri, facevo scherzi idioti alle ragazze. Un paio di volte ho anche risposto male ai professori. E ho consegnato il compito in classe in bianco.
La mosca era riuscita a fregare tutti, perfettamente integrata nella società delle vespe
.
Niccolò Ammaniti, Io e te, p. 32-33
venerdì, 12 novembre 2010

Copia di portulacche
Chi non sa amare non sa fare poesia
e chi non sa morire non sa rivivere.
Così nessuno che non sia stato ferito
dal proprio nemico potrà toccare
i vertici della pietà. Non esiste
una battaglia d'amore
e neanche una sconfitta
Esiste solo un'angelica guerra
che l'uomo fa a se stesso
credendo in un fratello azzurro
vestito tutto di nero.

Alda Merini
written by: Malfido time 09:39 | link | commenti
sections: 08-professioni, 09-personaggi famosi, 11- sfide
giovedì, 11 novembre 2010

Col piede giusto

Sea%20Shore%20in%20Moonlight%20Caspar%20David%20Friedrich

Lascio una scia bianca e inquieta, acque pallide, facce più pallide, dovunque passo. Le onde invidiose si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia: facciano, ma prima io passo.

Ahab, you know
written by: Malfido time 16:22 | link | commenti
sections:
mercoledì, 10 novembre 2010

MALFIDO

MALFIDO ESULTA PER AVER RICEVUTO LA MEDAGLIETTA DEI SUOI 25000 CONTATTI!!!

malf tigre
malf
written by: Malfido time 07:57 | link | commenti (1)
sections: 03-animali
martedì, 09 novembre 2010

Beati i miti

vanelli
Due miei carissimi amici stanno facendo il corso da fidanzati, ed ogni tanto mi raccontano di che cosa si parla. Un giorno siamo stati un po' a discutere le beatitudini, dal Vangelo secondo Matteo, perchè al loro corso ognuno avrebbe dovuto dire quale beatitudine "preferisce".
Io non avrei dubbi sulla mia prediletta: Beati i miti perchè erediteranno la terra.
Gesù è stata senz'altro la persona più mite che abbia abitato la terra.Ha trattato tutti come fratelli, ci ha liberato, se non dall'ingiustizia e dalla disparità sociale, dall'ira e dall'invidia che ne conseguono.

Dev'essere stata l'armonia della sua persona ad aver fatto sì che intorno a lui si raccogliessero intere comunità di persone diverse tra loro.Gesù era senz'altro un uomo intenso e forte, ma sempre gentile e discreto.
La persona mite, descritta altrove nel Vangelo con la bellissima espressione "umile di cuore", è quella che, qualunque cosa accada, non accresce il male facendo altro male.Il mite ha pazienza, non a caso la saggezza popolare recita "la calma è la virtù dei forti".
Non so di preciso che cosa significhi dire che "i miti erediteranno la terra": forse vuol dire che a loro sono affidati la terra, il senso di comunità, di carità, ma soprattutto il mistero della libertà.
Non si può credere in Dio, arrivo a dire col mio Io razionale, se non lo si pensa all'opera nel massimo, sommo rispetto per l'uomo. Non che io abbia davvero compreso che cosa significhi, sviluppando un ragionamento di fede, obbedire a Dio.

Penso alle cose della vita e nel mio piccolo anch'io so che la più grande forma di libertà che si possa gustare è donare la propria libertà a servizio del genere umano,dell'essere umano, dentro una causa giusta, accogliendo le responsabilità costanti che ne derivano, dentro contesti reali, faticosi e da costruire. Il concetto che mi è distante, per riferirmi ancora al Vangelo di Matteo, è quel mettere Dio al primo posto.Mi sembra un passo indietro.
Eppure esistono delle persone che sono credenti convinte, e che mi mostrano una via che, per descrivere il loro modo di vivere, io chiamo dell'"obbedire all'amore",amore di sè e del prossimo, senza mai usare, verso la propria persona e verso gli altri, la benchè minima violenza.
L’uomo mite è colui che pur provando sentimenti profondi e persistenti-"in alto i cuori" è un'altra bella espressione liturgica-, rimane duttile e sciolto, non possessivo, interiormente libero e rispettoso del mistero della libertà.
L'uomo mite grida il suo esempio chiaro, diretto, sfacciatamente silenzioso, che si oppone a ogni forma di prepotenza materiale e morale.La mitezza è la vittoria del dialogo sulla sopraffazione.

Nella foto: la foto di un quadro di Felice Vanelli regalato a mia mamma
written by: Malfido time 11:48 | link | commenti (2)
sections: 14- letteratura arte opinioni
lunedì, 08 novembre 2010

Volontariato puro e impuro

 
Copia di DSCN2041
Leggo e trasferisco, dal Manuale che mi è più caro, una pagina molto intelligente sulla dimensione sia individuale che sociale del volontariato, nel suo aspetto più dinamico e chiaro(scuro).
Ringraziamo, come sempre con continenza e contrizione, Monsignor Diabolus.
Il volontariato, come essere di Sinistra, è vero quando ci si perde qualcosa, non quando la si guadagna. Esso si addice soltanto a coloro che, avendo già un lavoro, un reddito e un’indipendenza morale, trovano edificante cedere gratuitamente una parte del loro tempo e del loro denaro per prestare soccorso agli afflitti. Lo spirito di servizio non consiste nell’offrire una bottiglia di vino a qualcuno perché ce lo versi nel bicchiere.
La perfetta Gentildonna si guarderà bene dallo sporcare il suo onore facendosi aiutare con la scusa di aiutare e porgendo una mano quando in effetti sta prendendo con entrambe. “Volontariato” significa applicare una volontà allorchè si sarebbe già abbastanza spompati per schiantare di stanchezza da disamore nel vedere come certe istituzioni vengano meno a quanto sarebbe loro specifico dovere e fine: bambini abbandonati, handicappati non seguiti, profughi affastellati, vecchi accartocciati ai margini delle strade, ammalati respinti, emarginati di ogni risma affamati e rintontiti dalla disperazione. “Volontariato” significa avere ancora voglia di sborsare volontariamente una tassa sociale extra dopo essere già stati derubati da un fisco iniquo, laddove, grazie ai nostri esorbitanti esborsi istituzionali, lo Stato avrebbe come minimo il compito di non spingerci sotto il naso i suoi problemi sociali irrisolti come se fossero ancora e sempre e soltanto nostri. L’Italia è un bel paese dove esiste addirittura qualcosa peggiore della mafia: uno Stato latitante. In odore di mafia.
Fare del volontariato significa dunque turarsi il naso, aprire daccapo i cordoni della propria borsa e agire alla cieca, senza stare lì troppo a pensarci perché mai lo si fa (si impazzirebbe nel rendersi conto che la disgrazia di essere abitati da questa “volontà” di prestare soccorso sia capitata proprio a te, e non a chicchessia delle migliaia di abulici e ignavi che ti stanno attorno sorridendo sornioni e maliziosi dei casini in cui sei andato a cacciarti volontariamente).
Sono pervaso da un brivido di disgusto quando sento (o constato di persona) che “mancano i soldi per il volontariato” e che, per fare un esempio, un volontario chiede ventimila lire all’ora per assistere un vecchio infermo o un malato terminale di Aids e anche trentamila per portare a spasso uno spastico in carrozzella.
[…]
Chi si dà a un volontariato qualsiasi deve innanzi tutto sapere che le sue buone intenzioni dovranno combattere contro la barriera burocratica che ogni società capitalistica leva contro ogni generosità, slancio, azione riparatrice o almeno emendatrice verso mali socialmente trascurati, ma d’altronde questa stessa barriera fa da filtro a molta vacillante buonafede e a troppa determinata malafede del finto volontario.
Mi ha sempre ripugnato, per esempio, che alcuni intraprendenti giovanotti (oh, non parlo solo dei rampanti da Comunione & Liberazione) chiedessero stanziamenti di miliardi governativi per questa o quella mensa dei poverelli, allorchè semmai dovevano o tirarli fuori di tasca propria o rinunciare a fare il minimo bene… Se la propria volontà ha bisogno prima di essere oliata con il denaro di tutti, non è fantascientifico il rischio che l’unica “volontà di volontariato” in gioco sia quello di metterselo nelle proprie tasche.
[…]
[S]petta a tutti sollecitare lo Stato negli stanziamenti dovuti affinchè faccia bene e a fondo quanto gli individui, anche se ottimi, non possono fare che male e superficialmente. Lo Stato […] non dovrebbe permettere che problematiche sociali gravi siano lasciate in balia del miglior offerente sulla piazza dei miracoli.
La perfetta Gentildonna, pertanto, si limiti a dare tutto e solo quel poco che può senza tanti distinguo: dia un esempio di probità, di disinteresse totale, di non bisogno di avere un qualsivoglia bisogno personale (economico o psicologico) per soccorrere i bisognosi. Lo faccia, se le va, e basta: grida di più un esempio chiaro, diretto, sfacciatamente silenzioso che le mille proteste e richieste e sollecitazioni dei mille che hanno scambiato il volontariato per una carriera, visto che altrove hanno fatto acqua da tutte le parti e si sono ridotti a fare del bene agli altri perché, incapaci di pensare innanzitutto al proprio, hanno trovato il modo migliore di ovviare ai loro fallimenti.
da: Aldo Busi, Manuale delle perfetta Gentildonna, 2000, pp. 140-3

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