mercoledì 11 gennaio 2012

lunedì, 09 agosto 2010

WALDEN

Copia di nikon07 058Il tempo non è che il ruscello dove io vado a pesca. Vi bevo; ma mentre bevo ne scorgo il fondo sabbioso e vedo come sia poco profondo. La sua corrente sottile scorre via, ma l’eternità resta. Vorrei bere profondamente, e pescare nel cielo, il cui fondo è ciottoloso di stelle. Non posso contarne nessuna. Ignoro la prima lettera dell’alfabeto. Ho sempre rimpianto di non essere saggio come il giorno che venni alla luce. L’intelletto è un fenditore, esso discerne e scava la sua via nel segreto delle cose. Io non desidero lavorare con le mie mani più del necessario. La mia testa è mani e piedi. Sento che tutte le mie migliori facoltà vi sono concentrate. L’istinto mi dice che la testa è un organo di escavazione, come per alcune creature il muso e le zampe, e con essa vorrei scavare la mia strada tra queste colline.
Penso che la più ricca vena sia in qualche luogo qua attorno; così io giudico per mezzo della bacchetta fatata e dei leggeri vapori che sorgono; e comincerò a scavare proprio qui.
written by: Malfido time 15:10 | link | commenti (2)
sections: 11- sfide, 14- letteratura arte opinioni
sabato, 07 agosto 2010

UN INFINITO VIAGGIARE / 1

Copia di nikon07 511
Nel libro che ha questo titolo Claudio Magris paragona la funzione della prefazione a quella della valigia. La premessa fa parte del libro tanto quanto la valigia c’entra col viaggio: si pensa di mettervi le poche cose essenziali e si dimentica qualcosa d’indispensabile. Si riempie il bagaglio di cose da portare a casa, ma, una volta tornati, quando lo si apre, le cose che sembravano importanti non si trovano più e vi saltano fuori invece oggetti che non ci si ricordava di aver messo dentro.
La prefazione a “Un infinito viaggiare” è un saggio sulla fenomenologia del viaggio, sui libri di viaggio, sull’arte della fuga e della compensazione attraverso il cammino, il vagabondaggio, le tappe, le distrazioni.
Non tralascerei alcun aspetto, ma qui, ora, mi piace condividere soprattutto il legame tra il viaggio e il possesso presente della propria vita, che viene chiamato persuasione.
“La persuasione […] [è] la capacità di vivere l’attimo, ogni attimo e non solo quelli privilegiati ed eccezionali, senza sacrificarlo al futuro, senza annientarlo nei progetti e nei programmi, senza considerarlo semplicemente un momento da far passare presto per raggiungere qualcosa d’altro. Quasi sempre, nella propria esistenza, si hanno troppe ragioni per sperare che essa passi il più rapidamente possibile, che il presente diventi quanto più velocemente futuro, che il domani arrivi quanto prima […] e così si vive non per vivere ma per avere già vissuto […]”
venerdì, 06 agosto 2010

Estate sull’isola

baia 
“Tu, mio” è un libro di Erri De Luca che consiglio anche a chi legge soprattutto in vacanza, perché il protagonista è un ragazzo di città che trascorre le ferie d’estate al mare, su un’isola, facendo esperienza di pesca notturna, di barche. Il libro è il racconto degli incontri e degli insegnamenti di un anno particolare, nella sua prima adolescenza.
La prima delle citazioni che scelgo oggi inizia già nella prima pagina:
“L’isola era muta e scendendo scalzo alla marina un ragazzo poteva sentirsi liscio per la pietra sotto i piedi, profumato per il pane che gli sfiorava il naso dai forni, adulto perché andava sul mare verso il largo e le profondità a maneggiare un’arte . Gli altri ragazzi andavano al mare più tardi per le ragazze e i bagni, i ricchi avevano i motoscafi e giravano in tondo sui legni lucenti e i motori pieni di cavalli”.
“Ero un ragazzo di città, ma d’estate m’inselvatichivo. Scalzo, la pelle dei piedi indurita come le carrube mangiate sull’albero, lavato all’acqua di mare, salato come aringa, un pantalone di tela blu, odore di pesce addosso, qualche squama in giro nei capelli, andatura a passi corti, da barca. In una settimana non avevo più una città d’origine. Me l’ero staccata di dosso insieme alla pelle morta del naso e della schiena, i punti dove il sole si approfondiva fino alla carne”.
“Il sole è una mano di superficie, una carta vetrata che sgrossa d’estate la terra, la pareggia, la liscia, asciutta e magra a fior di polvere. Coi corpi fa lo stesso. Il mio esposto fino a sera si spaccava come un fico solo in qualche punto delle spalle e sul naso”.
written by: Malfido time 18:19 | link | commenti
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giovedì, 05 agosto 2010

Maneggiare un'arte

didoneHo visto il film tratto dal romanzo di Philip Roth “The dying animal”. Il protagonista scrive libri e si occupa di critica letteraria, e s’innamora di Penelope Cruz che ha trent’anni in meno di lui ed è una sua allieva. Tra i suoi pensieri c’è una frase che ho isolato.
Un’opera d’arte vi ricorda chi siete voi ora.
Continua a tornarmi in mente, appunto.
Un pensiero come quello di Roth viene da molto lontano, ed è davvero condiviso da chiunque dedica all’arte il suo tempo, la sua passione e il suo amore.
Il 3 settembre 1786 Goethe è sceso in Italia fuggendo da un incarico di governo, e per un lungo periodo ha girato il nostro paese fingendosi un pittore, perché in quel momento per lui l’arte significava abbandonarsi al corso della vita, come una bottiglia aperta sott’acqua e riempita dal fluire delle cose.
In quegli anni ha maturato anche la constatazione che tutto ciò che è intelligente è già stato pensato, ma che bisogna cercare di pensarlo di nuovo.
Questo continuo ritorno e confronto è importante. Italo Calvino ha scritto un’opera intera sul concetto di leggere i classici:
Una classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso. [...] Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani. [...] Il "tuo" classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
mercoledì, 04 agosto 2010

DISPOSIZIONE

schiele schreibtisch
Se la geometria ci offre numerose metafore, ad esempio quando distinguiamo i piani o seguiamo una linea di ragionamento, non è soltanto perché è una scienza razionale, ma perché i suoi sviluppi ci mostrano come tutte le considerazioni, le prassi e i comportamenti necessitino di un’estensione.
Prendiamo il semplice concetto di posizione e vediamo come il pensiero, e i suoi derivati, se ne servano.
Pensare è prendere una posizione. Quando si pensa ci si pone all’attenzione di qualcosa e di qualcuno. I pensieri sono delle posizioni, offrono anche delle posture della mente. Possono anche diventare dei semplici schemi che si ripetono e si riempiono come categorie. Con questo termine si passa dal pensare al dire.
Quando si dice qualcosa di fatto ci si espone, si mette fuori la propria posizione. Si danno categorie. Mettere in piazza, in pubblico, questo è il significato del kata agora cui il termine si riferisce. Esporsi, esporre le proprie posizioni, il proprio pensare.
Seguendo la trama del porsi ed esporsi, sentire è disporsi. Avere disposizione. I sentimenti sono pertanto disposizioni. L’intreccio col pensare e dire è evidente e indissolubile.
Cfr. G. Ferraro, La scuola dei sentimenti

FILOSOFI E GEOMETRI

porta sul buio
Sono sempre più convinta che, con tutte le sue figure, le sue strutture, i suoi simboli, la filosofia a volte si avvicina alla geometria, forse perché entrambe si basano su di una forte capacità di astrazione.
Continuo idealmente a verificarlo attraverso il libro che ho fra le mani.
Il primo passo è sempre quello di disegnare la figura:
Guardiamo nei nostri desideri quando guardiamo. Frughiamo nei nostri bisogni. Quasi incolliamo le immagini alle figure, ci figuriamo quello che immaginiamo, e ciò che è deve passare la barriera prima delle immagini e poi delle figure sollecitate dai nostri desideri e pensieri, da quello che vogliamo che sia e da ciò che in quel momento occupa la nostra posizione, la nostra attenzione.
Poi si confrontano i dati e viene in mente un ragionamento, che a sua volta si traduce in una formula:
Imparare a vedere s’intreccia con l’imparare a sentire e questo con l’imparare ad ascoltare e ancora a pensare. Imparare a ritornare. Mi viene da aggiungere, perché tutto ciò che chiamiamo vero e cosciente, sentimento e pensiero, sapere e dire, è fatto di ritorno. Come quando si dice Ritorna in te o Non era in sé.
Ogni metodo ha un’unità di misura:
Quando diciamo di sentire dovremmo sottintendere la riflessività: “come sento” è “come mi sento”, altrettanto che “come penso” è “come mi penso” e “come dico” è “come mi dico”. C’è sempre un rimando a sé per un sentimento, la proprietà del proprio sentire, il proprio rapporto verso se stessi.
Si può amare se ci si ama, non solo, ma si ama dell’amore di cui si è capaci. Non è questione di relativismo, piuttosto si tratta di uno stile, di un fare e agire che si riferisce a se stessi e che può essere “e ducato”, condotto lungo un percorso, che ne rappresenta la propria educazione sentimentale.
Cfr. G. Ferraro, La scuola dei sentimenti

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