lunedì 9 gennaio 2012

paola4
Mi piacciono le rubriche di lettere sui giornali, quando trovo che i botta e risposta siano spassionatamente sinceri. La gente ci mette la propria esperienza, il proprio senso della realtà, e anche, vivaddio, un po' di sana vis polemica che, spesso, intorno agli aspetti più importanti, dalle nostre parti tace sempre troppo.
Una delle mie persone preferite mi ha appena segnalato un articolo dal giornale locale, e mi ha girato in anteprima la sua lettera che uscirà a commento. Vorrei leggere cose così tutti i giorni, garbate ma pertinenti, sofferte ma lucide, ed alla fine, per quanto possibile, leggere.
Una signora col bellissimo nome di Allegra ha scritto ad Umberto Galimberti (pubblicata sabato scorso) un brano che potrebbe fare eco ad una delle citazioni sociologiche che stanno dentro i libri di Bauman.
Parla della dissociazione, troppo frequente, tra io profondo e identità percepita, ricostruita a forza tra segmenti di relazioni umane e logiche di efficienza pura. Forse la signora Allegra ha uno sguardo molto simile a quello dipinto da Paola per questa ragazza sott'acqua. Siamo in molte a sognare spesso di respirare sott'acqua, e il rimando può essere molto vario: oppressione, desiderio di pace, energie represse...
Ecco il botta e risposta:
Ho pensato al perché diamo così tanta importanza alle relazioni e a quanto queste condizionino i nostri momenti, le nostre giornate e alla fine, le nostre vite. Dipendiamo da esse più che da noi, e così creiamo una seconda identità che si definisce nel tempo, dissociata dal vero io profondo e irraggiungibile. Mandiamo un sms e attribuiamo al tempo di risposta del nostro interlocutore una graduatoria di stima nei nostri confronti: risponde subito = ci tiene; risponde tardi = non conto granché; non risponde = non esisto. Pensiamo a noi stessi come a dei prodotti da vendere, da collocare, brand positioning, strategie, marketing, tutto per poter sopravvivere a questo mondo competitivo dove non conta ciò che hai fatto per una vita, ma ciò che hai fatto in un attimo. Ogni attimo può essere una sconfitta o una vittoria, e così lo stress aumenta e perdiamo di vista l'obiettivo, il grande disegno della nostra vita. Manager di noi stessi in un'azienda aperta 365 giorni l'anno, 24 ore al giorno, con milioni di contatti e vetrine in tutto il mondo (Facebook). Ecco cosa siamo. Se ti comprano, vuol dire che piaci e vai avanti. Ma devi sempre rinnovarti per rimanere sul mercato. Se non ti comprano, sei fuori. Se ti comprano e funzioni male, devi ripararti. Da solo. È follia nella quale spesso mi ritrovo, è un disagio sociale, rincorro il tempo e le mie opportunità di soddisfare il mercato. È l'estraniazione, l'alienazione. Bisogna uscire da questo circolo vizioso malato e capire che la realtà è tutt'altra cosa. La realtà sono io, IO, profondamente IO.
Dipendiamo dalle relazioni perché da queste dipende la nostra identità. L'identità non è un dato naturale, ma culturale, che si costruisce a partire dal riconoscimento che otteniamo dagli altri. Questo vale sia per il bambino che trascurato o addirittura continuamente biasimato si costruisce un identità negativa, a differenza del bambino che approvato e riconosciuto costruisce un'identità positiva, sia per l'adulto la cui identità risulta rafforzata o indebolita a partire dalle approvazioni o dalle disapprovazioni che riceve. Detto questo, che cosa oggi nell'età della tecnica e dell'economia globalizzata viene di noi approvato o disapprovato? La nostra rispondenza ai valori della tecnica che sono l'efficienza e la funzionalità, e ai valori del mercato che sono la produttività e la capacità di creare profitto. In questo modo la nostra identità si declina, quando addirittura non si appiattisce, su quei valori che non rispecchiano il nostro io e tanto meno le nostre aspirazioni profonde, ma unicamente quella "maschera sociale", come già a suo tempo segnalava Marx, che ogni giorno dobbiamo indossare per rispondere a quegli indicatori che ci impongono la tecnica e il mercato. Questi infatti sono divenuti i generatori simbolici di tutti i valori, per cui oggi capiamo unicamente che cosa è utile, efficace, produttivo, ma nulla sappiamo di cosa è buono, giusto, vero, bello, sacro. Ne è una prova l'arte che diventa arte solo se entra nel mercato. Siccome tecnica e mercato non sono più semplici aspetti delle relazioni sociali, ma hanno impresso il loro sigillo ad ogni relazione sociale, oggi non incontriamo più uomini, ma ruoli, per cui la nostra identità non è più segnalata dal nostro nome, ma dal biglietto da visita in cui è indicata la nostra funzione. E quando Iddio dovesse mandare il suo messaggero a chiamare le anime perse nel mondo, questi, al suo ritorno, non potrebbe che dire, come recita un mito gnostico: "Io le ho chiamate, ma nessuna ha risposto, perché tutte hanno perso il loro nome". Se la relazione sociale è essenziale per la costruzione della nostra identità, qualora lasciamo riassorbire per intero la nostra identità dal nostro ruolo, allora la relazione sociale diventa una relazione di ruoli, dove il nostro io non è più rintracciabile non solo dagli altri, ma neppure da noi stessi. È questa l'alienazione a cui ci ha portato l'età della tecnica e dell'economia globalizzata. Un'alienazione ben più radicale di quella che Marx aveva opportunamente segnalato, ma circoscritto alla condizione del proletariato.

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