lunedì 9 gennaio 2012

Voleva uscire dalla propria vita come da un appartamento si esce in strada...

fifi2springtsq
gw1
written by: Malfido time 13:31 | link | commenti
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giovedì, 15 settembre 2011
Tu sei entrata nella mia vita come Gulliver nel regno dei nani
msptb3tsq
written by: Malfido time 13:31 | link | commenti
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mercoledì, 14 settembre 2011

Il Kitsch

8marzMil1Nello spazio di una trentina di pagine, all’interno del suo romanzo celebre, Kundera tematizza in maniera eccezionalmente chiara, articolata e interessante l’argomento evergreen del kitsch. Isolando e parafrasando alcuni passaggi ne esce una sorta di mini trattato.
Tanto per cominciare, Sabina nelle prime pagine aveva rivolto a Tomáš uno dei complimenti più rilevanti che una persona potrebbe fare, o ricevere: “Tu mi piaci perché sei l’esatto contrario del kitsch. Nel regno del kitsch tu saresti un mostro”.
A dir la verità, io non so se ho capito bene che cosa sia l’esatto contrario del kitsch… Sono tornata da New York con il logo I NY riprodotto dappertutto, perciò intanto devo ammettere che non si è immuni dal kitsch nemmeno se ci si è premuniti con anni di eccentricità.
Inizieremo, come spesso si fa, dall’etimologia…
Kitsch è un vocabolo tedesco, che si rifà più o meno al significato di ungere, imbrattare, scarabocchiare. Originariamente è kitsch ciò cui è stato spalmato sopra qualcosa, come una serratura lubrificata o un biglietto scribacchiato.
Ed alla fine, nell’uso corrente, diventano kitsch un oggetto o uno stile di dubbio gusto, con qualche caratteristica eccessiva.
Perciò il kitsch riguarda rappresentazioni artistiche figurative, letterarie e musicali il cui valore è malinteso, o comportamenti e stili personali che potrebbero facilmente non piacere. Ma, in tedesco, kitsch possono essere frequentemente in tedesco anche l’ambito sentimentale e quello religioso che, evidentemente, producono talvolta manifestazioni sproporzionate di devozione, o di attaccamento.
Kundera fa molto meglio di me, nel fornire delucidazioni sul Kitsch come ideale estetico, cogliendo che esso ha un significato metafisico originario: è un mondo dove la merda è negata e tutti si comportano come se non esistesse. Geniale. Ottima frase per dare il via a un percorso a tappe.
Uno: la dittatura del cuore.
L’identità del Kitsch non è data da una strategia politica ma da immagini, da metafore, da un lessico.
Quando parla il cuore non sta bene che la ragione trovi da obiettare. Nel regno del Kitsch impera la dittatura del cuore.
I sentimenti suscitati dal Kitsch devono essere, ovviamente, tali da poter essere condivisi da una grande quantità di persone. Per questo il Kitsch non può dipendere da una situazione insolita, ma è collegato invece alle immagini fondamentali che le persone hanno inculcate nella memoria: la figlia ingrata, il padre abbandonato, i bambini che corrono sul prato, la patria tradita, il ricordo del primo amore.
Il Kitsch fa spuntare, una dietro l’altra, due lacrime di commozione. La prima lacrima dice: Come sono belli i bambini che corrono sul prato!
La seconda lacrima dice: Come è bello essere commossi insieme a tutta l’umanità alla vista dei bambini che corrono sul prato!
E’ soltanto la seconda lacrima a fare del Kitsch il Kitsch.
La fratellanza di tutti gli uomini della terra sarà possibile solo sulla base del Kitsch.
Due: Kitsch e politica
Nessuno lo sa meglio degli uomini politici. Quando c’è in giro una macchina fotografica, si precipitano subito verso il bambino più vicino per sollevarlo in aria e baciarlo sulla guancia. Il Kitsch è l’ideale estetico di tutti gli uomini politici, di tutti i partiti e movimenti politici.
Perciò, provocatoriamente: Chi non vuole perdere la faccia deve rimanere fedele alla purezza del proprio Kitsch.
Tre: Kitsch e libertà di pensiero
Nel regno del Kitsch totalitario, le risposte sono già date in precedenza ed escludono qualsivoglia domanda. Ne deriva che il vero antagonista del Kitsch totalitario è l’uomo che pone delle domande. Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.
Tre: der Kitsch und der Tod
La vera funzione del Kitsch è essere un paravento che nasconde la morte.
Quattro: Kitsch e suoi oppositori
Per tutta una vita lei ha proclamato di essere nemica del Kitsch. Ma non lo porta forse lei stessa dentro di sé? Il suo Kitsch è l’immagine di un focolare tranquillo, dolce, armonioso, dove regnano una madre amorevole e un padre saggio. Questa immagine si era formata in lei dopo la morte dei genitori. Quanto meno la sua vita somigliava a quel dolce sogno, tanto più lei diventava sensibile al suo fascino e molte volte le erano salite le lacrime agli occhi vedendo alla televisione una storia sentimentale dove la figlia ingrata abbracciava il padre abbandonato e nel giorno morente brillavano le finestre della casa dove viveva la famiglia felice.
[…]
Quella canzone la commuove, ma lei non prende sul serio la sua commozione. Sa benissimo che quella canzone è una bellissima menzogna. Nel momento in cui il Kitsch è riconosciuto per la menzogna che è, viene a trovarsi nel contesto del non-Kitsch. Perde in tal modo il suo potere autoritario ed è commuovente come qualsiasi altra debolezza umana . Perché nessuno di noi è un superuomo capace di sfuggire interamente al Kitsch. Per quanto forte sia il nostro disprezzo, il Kitsch fa parte della condizione umana.
Cinque: condannati a dare spettacolo
Ci sono situazioni nelle quali le persone sono condannate a dare spettacolo. La lotta contro un potere silenzioso […] è la lotta di una compagnia teatrale che ha assalito un esercito.
Sei: Del tutto Kitsch
Prima di essere dimenticati, verremo trasformati in Kitsch. Il Kitsch è la stazione di passaggio tra l’essere e l’oblio.
Cfr. L’insostenibile leggerezza… p. 254-282
written by: Malfido time 11:35 | link | commenti (3)
sections: 01-nomi, 14- letteratura arte opinioni
martedì, 13 settembre 2011
friedNel giorno in cui mi metto seriamente a studiare Zygmunt Bauman, in base ai libri che trovo alla laudense in restauro, scelgo la prima citazione:

Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il "progresso", un tempo la manifestazione più estrema dell'ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all'altra estremità dell'asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso "progresso" sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di "gioco delle sedie" senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d'oro, il "progresso" evoca un'insonnia piena di incubi di "essere lasciati indietro", di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accelera in fretta.

Modus vivendi, Laterza, 2008
domenica, 11 settembre 2011
ulyssesSettembre è il mese delle letture incastrate. A casa dagli Stati Uniti uno prova a leggersi Generazione X, quella dei sovra istruiti, sottoccupati, chiusi nel privato e imprevedibili, storie per una cultura accelerata, affiancate da glossari e neologismi, che forse si capiscono di più dopo aver fatto un giro là.
Ma adesso che è ricominciata la scuola mi torna più che altro in mente che prima di fare il marinaio Ismaele era un maestro. Perciò mi lascio dire da lui con quali auspici partire.
E’ forte il passaggio, ve l’assicuro, da maestro di scuola a marinaio, e richiede una robusta alimentazione a base di Seneca e di stoici, per mettervi in grado di sorriderci e sopportarlo. Ma anche questo col tempo dà giù. Che cosa importa se qualche spilorcio di un capitano mi comanda di andare a prendere la scopa e strofinare i ponti? […] Chi non è schiavo del mondo? Rispondetemi a questo. E dunque, per quanto il vecchio capitano mi dia ordini su ordini, per quanto io riceva pugni e punzonate, io ho la soddisfazione di sapere che tutto va bene, che ogni uomo è, in un modo o nell’altro, servito esattamente alla stessa maniera…
sabato, 10 settembre 2011
irisPer una ragione che mi piacerebbe riuscire a mettere a fuoco, in italiano rispettare una regola, conformarsi a un ordine, a un criterio, si esprime attraverso il verbo osservare, come a constatare, a riconoscere, che una consuetudine esiste, e che ha una ragione: si osservano un culto, una prescrizione, un orario, una dieta.
Mentre alcuni si guardano dall’osservare usanze che non riconoscono, come chi non fa la propria parte fingendo di volgere lo sguardo altrove, altri le rispettano con caparbietà. Intanto, per questi ultimi, tale uso un po’ demodé del verbo osservare suggerisce una costanza di altri tempi…

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